La Banca Mondiale ha pubblicato per la prima volta un quadro normativo finalizzato a gestire e riparare i danni ambientali e sociali causati dai progetti finanziati attraverso le sue filiali dedicate al settore privato, prime fra tutte la International Finance Corporation (IFC) e la Multilateral Investment Guarantee Agency (MIGA). Entrambe queste realtà sono note per finanziare iniziative che, in diversi casi, hanno avuto ripercussioni negative sulle comunità o l’ambiente. Con il nuovo Remedial Action Framework, pubblicato ad aprile, la Banca Mondiale intende facilitare il processo di riparazione. Ma le criticità non mancano. A partire dal fatto che il quadro non si applica ai casi passati e non stabilisce chi dovrà effettivamente risarcire i danni.
La Banca Mondiale è da tempo oggetto di critiche per i danni sociali e ambientali generati dai progetti che sostiene e per la lentezza con cui affronta le denunce. Ad ogni modo, è una decisione storica. «Per la prima volta l’IFC riceve un mandato chiaro: se un progetto che finanzia causa un danno, allora l’IFC deve fornire un rimedio», ha dichiarato a Mongabay Carla García Zendejas, direttrice del programma People, Land and Resources. L’IFC è stata più volte ritenuta negligente dal proprio meccanismo indipendente di valutazione, il Compliance Advisor Ombudsman (CAO). Un caso emblematico è quello della Salala Rubber Corporation in Liberia, e il relativo investimento in una piantagione di gomma, finanziata dall’IFC. Le indagini del CAO hanno confermato gran parte delle denunce dei residenti, tra cui acquisizioni irregolari di terre, violenze di genere, inquinamento delle acque e profanazione di tombe. Il CAO ha evidenziato come l’IFC non abbia consultato adeguatamente le comunità né valutato i rischi dell’investimento, raccomandando misure per rimediare alle violazioni. Tuttavia, in assenza di un quadro operativo per la riparazione, l’IFC ha fatto ben poco. Se non nulla.
Il nuovo quadro, tuttavia, non affronterà i casi passati, quindi, si applicherà esclusivamente a nuove denunce legate a nuovi progetti. In un’email a Mongabay, un portavoce dell’IFC che ha chiesto l’anonimato ha chiarito che il Remedial Action Framework si applica solo ai “piani d’azione gestionali futuri sottoposti al Board nell’ambito dei casi del CAO”. L’efficacia del nuovo quadro dipenderà quindi dalla sua applicazione nei nuovi casi. Il provvedimento non prevede nemmeno un risarcimento diretto da parte dell’IFC. Piuttosto, l’istituzione si impegna a far sì che le aziende private da essa finanziate offrano rimedi concreti alle comunità colpite. Un cambio di rotta importante dal punto di vista etico e procedurale, ma che non comporta un’assunzione di responsabilità finanziaria diretta da parte della Banca Mondiale per i danni causati dai soggetti privati beneficiari dei suoi fondi. Piuttosto, obbliga l’IFC a garantire che ci sia un piano di azione per il rimedio, che potrebbe includere misure da parte del soggetto privato finanziato. In altre parole, l’IFC dovrà assicurarsi che le aziende che finanzia abbiano meccanismi per affrontare e rimediare ai danni. Se non lo fanno, teoricamente l’IFC dovrebbe intervenire per garantire comunque una soluzione.
Per molti Paesi del Sud globale, la Banca Mondiale rappresenta un attore chiave nel finanziamento dello sviluppo sociale. Attraverso le sue branche private come l’IFC e la MIGA, finanzia direttamente aziende private, come multinazionali, società agricole, minerarie, infrastrutturali. I progetti da queste portate avanti possono però causare, e hanno già causato, danni sociali, quali espropri illegittimi, abusi e violenze. Risale a meno di anno fa il caso di un accordo mediato dal tribunale del Delaware tra l’IFC e alcuni attivisti honduregni che hanno subito violenze per mano delle forze di sicurezza presumibilmente legate alla Dinant Corporation, una società centroamericana di olio di palma a cui la Banca Mondiale aveva prestato 30 milioni di dollari nel 2009. L’IFC ha accettato di patteggiare e di pagare quasi 5 milioni di dollari in risarcimenti, senza alcuna ammissione di responsabilità. Storicamente, l’IFC non si è mai assunta responsabilità diretta quando eventi dannosi come questo si verificavano, sostenendo che era compito dell’azienda. Con il nuovo Remedial Action Framework, l’IFC deve assumere per la prima volta un dovere istituzionale. Una responsabilità operativa sì, ma non giuridica o finanziaria diretta in tutti i casi.
Oltre ai già menzionati danni alle comunità, una parte delle attività finanziate dalla Banca Mondiale può poi avere impatti negativi direttamente sulla biodiversità. Un’analisi dei progetti finanziati tra il 1995 e il 2014, pubblicata su Global Environmental Change, ha rivelato che le attività potenzialmente dannose tendono a collocarsi proprio in zone ad elevata biodiversità, come Biodiversity Hotspot, Key Biodiversity Areas e aree con alta concentrazione di specie minacciate a livello globale. In generale, non sono nemmeno emerse prove solide che le attività siano sistematicamente collocate per evitare la sovrapposizione con tali aree. I risultati sollevano quindi dubbi sull’efficacia delle misure ambientali adottate nel prevenire impatti diretti sulle aree ecologicamente più sensibili, nonché mettono in dubbio il ruolo di riferimento per le buone pratiche internazionali che la Banca Mondiale riveste. Con il nuovo quadro le cose cambieranno? È presto per dirlo.