Le grandi aziende digitali rappresentano spesso l’informatica come un qualcosa di etereo e magico, come un insieme di automatismi che sono capaci di risolvere celermente ogni complessità. Nella realtà, alcuni di questi “automatismi” vengono gestiti da lavoratori in subappalto che vivono nelle parti più povere del mondo e che sono fin troppo spesso soggetti a condizioni lavorative dannose. Ecco dunque che Meta finisce al centro di un’indagine giornalistica e legale riguardante i danni psicologici causati ai dipendenti di un’azienda ghanese.
A finire direttamente sotto accusa è Majorel, azienda di Accra controllata dalla multinazionale francese Teleperformance. Il compito dei circa 150 lavoratori dell’impresa è quello di scandagliare i contenuti caricati all’interno dei social per vigilare sul processo di moderazione, ovvero rimuovere i post che violano gli standard dettati dai committenti e addestrare i modelli di intelligenza artificiale a espletare il medesimo compito.
Su internet vengono costantemente caricati file di ogni tipo, molti dei quali riguardanti immagini e concetti capaci di logorare la salute mentale delle persone. I moderatori del web vengono dunque inondati senza sosta da contenuti profondamente violenti e disturbanti – persone scuoiate, stupri, torture, decapitazioni e molto altro –, contesto per cui il mestiere richiederebbe lunghi periodi di pausa e un’assistenza psicologica esperta. Stando a quanto riscontrato da un’indagine congiunta del The Guardian e dal Bureau of Investigative Journalism (TBIJ) , Majorel non rispettava questi requisiti. Tutt’altro.
Secondo quanto riscontrato dalle testate, i dipendenti dell’azienda ricevevano una retribuzione inferiore al costo di vita stimato di Accra, condizione che li portava ad appoggiarsi agli straordinari e a perseguire i premi di prestazione anche solo per poter arrivare a fine mese. La provante natura del compito, esacerbata dall’intensità dello stesso, ha causato nei lavoratori depressione, insonnia e abusi di sostanze, malesseri che venivano intensificati dalle minacce perpetrate dal datore di lavoro. I supervisori di Majorel sono infatti accusati di aver licenziato chiunque chiedesse condizioni lavorative migliori, di aver messo alla porta soggetti che, presi dallo stress, hanno tentato il suicidio e di aver sfruttato situazioni migratorie precarie per assicurarsi forza lavoro docile e ubbidiente.
Teleperformance ribatte alle accuse sostenendo di avere un “robusto programma di benessere psicologico sostenuto da psicologi certificati”, di fornire retribuzioni che superano “del doppio il salario minimo nazionale” e che arrivano a dieci volte tanto se si tengono in considerazione i bonus aggiuntivi. Nel 2022, Teleperformance era già finita al centro di uno scandalo quando Forbes aveva scoperto che l’azienda era solita adoperare archivi pedopornografici per addestrare i propri moderatori. A seguito dello scoop e della reazione degli investitori allo stesso, Teleperformance aveva annunciato nel 2023 l’intenzione di abbandonare il settore della “sicurezza e affidabilità”, promessa che ha poi disatteso.
Ora, il caso di Majorel è nelle mani dell’organizzazione no-profit britannica Foxglove, la quale sta raccogliendo tutte le informazioni del caso al fine di avviare una causa legale. Una prospettiva tutt’altro che unica: nel 2023, la moderazione di Meta in Africa era già finita al centro dell’attenzione pubblica quando era emerso attraverso il The Times che il controllo dei contenuti era stato affidato a Sama, operatore kenyota che offriva a sua volta condizioni lavorative dannose per la psiche dei suoi dipendenti. Anzi, stando alla ricostruzione avanzata da Foxglove, Majorel è riuscita a ottenere l’incarico dalla Big Tech statunitense proprio perché questa ha deciso di rescindere il contratto siglato con Sama, impresa che, una volta entrata in causa per le sue pratiche manageriali, ha licenziato in tronco tutti i suoi dipendenti.