lunedì 12 Maggio 2025

Oggi scioperano in tutta Italia i precari della ricerca dell’Università

Oggi si ferma l’università pubblica, investita da uno sciopero nazionale che vede protagonisti migliaia di lavoratori precari del settore. La mobilitazione, indetta dalla FLC-CGIL e rapidamente sostenuta da numerose realtà associative, coinvolge una larga fascia del personale universitario. Infatti, il numero di addetti a tempo determinato, assegnisti e borsisti ha toccato quota 40 mila, a fronte di appena 53 mila docenti di ruolo. L’obiettivo dello sciopero è l’ampliamento degli organici e la relativa stretta alla precarietà. Come riportato in una nota del sindacato, si chiede poi la fine dei tagli al fondo ordinario di finanziamento delle università, che va a braccetto con il «contrasto di ogni politica di riarmo in questa stagione di ripresa dei conflitti internazionali».

Assegnisti, dottorandi, borsisti, specializzandi e ricercatori a tempo determinato, ma anche personale tecnico-amministrativo, docenti strutturati e associazioni studentesche, si uniscono in una mobilitazione che punta a denunciare la deriva di un sistema universitario sempre più povero di risorse, diritti e prospettive. La protesta si tiene in decine di città dello Stivale: da Roma a Milano, da Torino a Napoli, passando per Bologna, Pisa, Bari e Genova, sono stanno andando in scena cortei, presìdi e assemblee. «Contro le politiche sul precariato universitario, il definanziamento degli atenei e i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) portati avanti dall’attuale Governo», recita la nota ufficiale della FLC CGIL, che chiede un’inversione di rotta radicale nelle politiche universitarie.

Tra le richieste centrali della mobilitazione, che evidenzia come l’università italiana si regga ormai sulle spalle di una forza lavoro temporanea, spesso esclusa da ogni forma di rappresentanza e tutela, vi sono un piano straordinario di stabilizzazioni, l’assunzione di almeno 40 mila unità — tra ricercatori in tenure-track, tecnologi e personale tecnico-amministrativo — e l’aumento di 5 miliardi di euro in cinque anni per rilanciare il sistema universitario pubblico. Una risposta strutturale, dunque, al progressivo svuotamento di risorse e tutele che ha colpito l’ambito della ricerca e quello della didattica. In parallelo, si chiede lo stop a ogni tentativo di reintrodurre surrettiziamente forme di lavoro precario, come il criticato “contratto di ricerca”. I due terzi dei precari sono legati a progetti PNRR e quindi se non si interviene «nel giro dei prossimi due anni ci sarà il licenziamento di migliaia e migliaia di persone, la loro espulsione dall’università», ha spiegato Luca Scacchi, responsabile docenza universitaria della FLC-CGIL.

Lo sciopero assume però un significato più ampio. Come sottolineano anche l’USB e l’organizzazione giovanile Cambiare Rotta, si tratta di un momento di convergenza tra la lotta contro la precarietà e quella contro l’orientamento bellico assunto dalle politiche europee e italiane. A fronte di un aumento delle spese militari e della crescente subordinazione della ricerca pubblica agli interessi dell’industria bellica, i fondi per università e ricerca vengono tagliati, esponendo il sistema accademico a un vero e proprio «oscurantismo», come affermato dall’USB. Lo scorso 20 febbraio, la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha annunciato alla Conferenza dei rettori lo stop alla discussione in Parlamento sul disegno di legge riguardante il precariato accademico. Da un lato una scelta necessaria: Flc-Cgil e Adi avevano infatti portato il caso all’attenzione della Commissione europea, denunciando che il testo rappresentava un arretramento rispetto alla riforma del 2022 legata al PNRR, e proseguire con l’iter legislativo e reintrodurre di fatto, con un nuovo nome, il vecchio assegno di ricerca cancellato nel 2022 avrebbe potuto compromettere l’accesso ai fondi europei; dall’altro lato, una mossa strategica: sospendere il ddl ha significato mettere pressione ai rettori, spingendoli a prendere posizione pubblicamente. A oggi, a fronte di oltre 24 mila assegnisti in scadenza, solo poche centinaia potranno accedere al nuovo contratto di ricerca introdotto dalla riforma del 2022.

A riprova del fatto che la mobilitazione si gioca su più fronti, solo poche settimane fa lavoratrici e lavoratori dell’università sono tornati a protestare contro il Bando MAECI e l’Accordo di Cooperazione tra Italia e Israele – in cui si prevedono progetti di ricerca congiunti negli ambiti della tecnologia del suolo, dell’acqua e dell’ottica di precisione -, chiedendone la sospensione per «rischio di violazione del diritto internazionale e umanitario». Dopo le mobilitazioni del 2024, una nuova lettera aperta è stata infatti inviata al Ministero degli Affari Esteri (MAECI) e della Cooperazione Internazionale e alla Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI), accompagnata da una raccolta firme che ha già superato le 1.750 adesioni. I firmatari denunciano il legame tra il sottofinanziamento della ricerca in Italia e i fondi destinati a Paesi in guerra, come Israele, accusato di violenze indiscriminate contro i palestinesi.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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