Si è svolta questa mattina sulla Piazza Rossa di Mosca l’ormai tradizionale parata militare per commemorare l’80° anniversario della vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista nella Seconda Guerra mondiale. Si tratta della festa non religiosa più importante in Russia: attesa da settimane, in un contesto in cui la guerra in Ucraina è lontana da un cessate il fuoco, non sono mancate le polemiche e le minacce circa la partecipazione di alcuni capi di Stato europei all’evento, cosa che ha confermato l’ostilità dell’Ue verso Mosca. Il capo della politica estera europea Kaja Kallas ha affermato, infatti, che la partecipazione di Stati membri dell’UE o di paesi candidati all’adesione all’UE alle celebrazioni del Giorno della Vittoria a Mosca «non sarà presa alla leggera», mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky giorni fa aveva detto in un video che i russi avevano ragione ad essere preoccupati per eventuali attacchi durante la parata. La Lituania ha addirittura deciso di chiudere il suo spazio aereo ai voli che avrebbero trasportato i capi di Slovacchia e Serbia a Mosca per assistere alla celebrazione.
Nonostante il sabotaggio dell’Ue, all’evento hanno partecipato oltre venti capi di Stato, tra cui quello cinese Xi Jinping, il presidente serbo Aleksandar Vucic e il primo ministro slovacco Robert Fico, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, il presidente cubano Miguel Diaz-Canel, il segretario generale del Partito comunista del Vietnam To Lam, il presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi, il presidente palestinese Mahmoud Abbas, il presidente venezuelano Nicolas Maduro, il presidente etiope Taye Atske Selassie, il presidente della Guinea-Bissau Umaro Sissoco Embalo e altri dignitari stranieri. Un’ampia partecipazione che ha dato modo alla Russia di dimostrare di essere tutt’altro che isolata. Il presidente russo non ha perso occasione per ribadire come tutta la Russia sostenga l’offensiva in Ucraina e, durante la manifestazione, si è seduto accanto al presidente cinese Xi Jinping, con cui ha tenuto ieri importanti colloqui.
Sulla Piazza Rossa, accanto alle truppe russe, hanno sfilato quelle di altre 13 Paesi, comprendenti i contingenti di Azerbaigian, Vietnam, Bielorussia, Egitto, Kazakistan, Cina, Kirghizistan, Laos, Mongolia, Myanmar, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. L’unità cinese ha rappresentato il contingente militare straniero più numeroso della parata. Quest’ultima è iniziata con la marcia del gruppo stendardi della Guardia d’Onore del Reggimento Preobraženskij, che portava la bandiera nazionale russa e la leggendaria Bandiera della Vittoria, quella issata sul Reichstag tedesco dai soldati della 150ª Divisione Fucilieri Idritskaja nel maggio 1945. Sugli 11.500 soldati che hanno marciato alla manifestazione, circa 1500 hanno combattuto in Ucraina e per la prima volta il Cremlino ha esibito i droni da combattimento utilizzati dalle sue forze armate nella guerra in Ucraina, in quella che la televisione di Stato ha definito una novità. Presenti anche i leggendari carri armati T-34 della Seconda Guerra Mondiale, uno dei principali simboli della Vittoria, che hanno sfilato tradizionalmente in testa alla colonna meccanizzata.
La vittoria nella Grande Guerra patriottica è una celebrazione dall’alto significato simbolico e, non a caso, è considerata in Russia la festa più importante tra quelle non religiose. Ciò si spiega col fatto che la Nazione eurasiatica ha avuto uno dei più alti numeri di caduti durante la guerra contro il nazifascismo: si stima, infatti, che l’Unione Sovietica perse 27 milioni di persone durante la guerra, tra cui molti milioni in Ucraina. Proprio per questo, il tentativo di boicottare il sacrificio russo da parte dei Paesi occidentali appare non solo ingiusto, ma politicamente fallimentare, in quanto conferma l’utilizzo di doppi standard da parte del cosiddetto “mondo libero”: se, da una parte, quest’ultimo tace sulle proprie malefatte (tra cui la guerra in Libia e l’invasione dell’Iraq con il pretesto menzognero della armi di distruzione di massa presenti negli arsenali di Saddam Hussein) e su quelle dei propri alleati, a partire dall’assedio di Gaza e lo sterminio dei palestinesi da parte del governo Netanyahu, dall’altra, non esita a colpire duramente i propri avversari geopolitici. Un modus operandi che l’Occidente porta avanti almeno fin dal 2015, in seguito all’annessione della Crimea da parte di Mosca. Tutto ciò non fa altro che compattare ancora di più il popolo russo, mentre Putin utilizza le suggestioni della Guerra Patriottica proprio per unire la popolazione nella guerra contro l’Ucraina.
In questo contesto, il presidente russo non ha criticato i Paesi liberal-democratici, ma al contrario ha riconosciuto il ruolo svolto dagli alleati occidentali nella vittoria contro il nazifascismo: «Apprezziamo profondamente il contributo dei soldati degli eserciti alleati, dei membri della resistenza, del coraggioso popolo cinese e di tutti coloro che hanno combattuto per un futuro di pace nella nostra lotta comune», ha affermato. Nel frattempo, la guerra in Ucraina procede e il capo del Cremlino ha implicitamente collocato su un piano di continuità la vittoria contro il nazifascismo e la guerra contro Kiev, affermando che «La Russia è stata e sarà un ostacolo invalicabile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo e combatterà contro le atrocità commesse dai seguaci di queste convinzioni aggressive e distruttive. La verità e la giustizia sono dalla nostra parte».