venerdì 9 Maggio 2025

Cisgiordania, Israele accelera la pulizia etnica: demolite oltre 100 case in pochi giorni

Nella Cisgiordania occupata la pulizia etnica portata avanti da Tel Aviv continua. Mentre Israele ha annunciato il suo piano di invasione totale di Gaza, qui la guerra silenziosa portata avanti da Tel Aviv si traduce in arresti, raids, espulsioni forzate e migliaia di demolizioni. Una piccola Nakba, condotta nel silenzio totale e assordante dei media e delle istituzioni internazionali. «Siamo al 103° giorno di invasione dei campi profughi di Tulkarem» dice A. K., abitante e attivista per i diritti umani della città del nord della Cisgiordania a L’Indipendente, che riferisce come «Il 1° maggio Israele ha annunciato la demolizione di altre 106 case. Ad oggi sono quasi 400 le case distrutte nei due campi cittadini. Con oltre 20 mila persone sfollate e altre 2500 case parzialmente demolite».

A. è impegnato da tutta la vita per la causa palestinese: vive a poche centinaia di metri dai due campi profughi, stretti in un assedio da ormai oltre tre mesi, ed è attivo nel sostegno alle migliaia di persone che sono state costrette a lasciare le proprie case recentemente.
«Le forze di occupazione stanno demolendo 58 strutture nel campo profughi di Tulkarem e 48 case in quello di Nur Shams», dice ancora. «I militari avevano detto che i residenti sarebbero potuti tornare a prendere le loro cose ma nemmeno questo è stato concesso a molti di loro. Vogliono distruggere i campi profughi, smantellando la loro composizione demografica, rendendoli quartieri residenziali sotto sorveglianza costante, presidi militari e checkpoints. Questa è l’offensiva più grossa che stiamo subendo dalla Seconda Intifada del 2002».

Non solo nel nord del Paese. «Le demolizioni sono continue in tutta la Cisgiordania», ricorda A. «A Betlemme, Al Khalil, Nablus… specialmente a Massafer Yatta [terra del film No other land, ndr], dove un intero villaggio beduino è stato demolito 3 giorni fa dalle forze di occupazione israeliana.» F. ha una cinquantina di anni. Al campo profughi di Tulkarem ci è nata e cresciuta, dopo che la sua famiglia era stata mandata via nel 1948 da un paesino intorno ad Haifa. F. la storia se la ricorda: ricorda da dove viene e perché si trova a vivere in un campo profughi da tutta la vita. Dalla quale ora sarebbe costretta ad andarsene. Ha perso 7 membri della sua famiglia dal 7 ottobre 2023, tutti uccisi dai militari d’Israele nelle continue aggressioni a Tulkarem Camp.

F. è rimasta tra le pochissime a vivere in casa sua, nascosta in silenzio tra quelle mura per paura di essere mandata via dai militari. «Pochi minuti fa varie persone hanno cercato di tornare alle loro case per recuperare le loro cose prima che venissero demolite», dice ieri per telefono a L’Indipendente. «I soldati hanno sparato. Tutti hanno iniziato a correre via. La situazione qui è così brutta…» la sua voce è rotta dalla tristezza. «Io vivo ancora nel campo. La mia casa è sempre chiusa… è buio, anche di giorno. Di notte non posso accendere la luce, stiamo in silenzio. Non possiamo accendere la televisione, nemmeno durante il giorno, perché ci sentono… fa paura, tutto… i militari possono arrivare e dire: questa non è casa tua. Vai fuori. È facile per loro!! e noi non abbiamo niente. Non abbiamo la nostra casa. Non abbiamo la nostra macchina. Non abbiamo i nostri bambini… in questa terra non abbiamo più niente. E in ogni momento possiamo perdere tutto, per la parola di un soldato… è sufficiente che arrivino qui e mi dicano “esci”. Siamo come criminali, perché vogliamo stare a casa nostra! Ci sparano perché torniamo alle nostre case. Ci sparano se camminiamo per strada. Sono tre mesi che le persone del campo non possono tornare a casa loro. Molti non hanno più nemmeno una casa dove tornare.» Sono almeno 13 le persone del campo uccise dall’inizio dell’assedio, tra cui due donne e un bambino. Centinaia gli arresti e i feriti.

«Ho molta paura. E non posso fare niente. La mia casa, il mio letto, non sono sicuri. Non c’è sicurezza, da nessuna parte… stiamo tutti soffrendo. Hanno preso tutto. Hanno preso la vita. Hanno preso i bambini, portati in prigione senza ragione… ora vanno per le strade e prendono chiunque… i campi profughi sono diventati basi militari per gli israeliani, dove portano le persone per interrogarle e torturarle! Non hanno bisogno di ragioni per fare quello che fanno. Distruggono le case, stanno facendo una strada demolendo le abitazioni. Questa è la situazione qui. Nessuno li sta fermando. Siamo soli qua.»

I comitati popolari, le istituzioni e i gruppi comunitari dei campi di Tulkarem e Nur Shams hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui esortano il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali per i diritti umani “ad agire e a fare pressione sulle autorità di occupazione israeliane affinché fermino immediatamente l’aggressione”. Ma, per ora, nessuna risposta.

Intanto l’aggressione continua anche a Jenin, la città forse più colpita dalla violenza militare israeliana. Oltre 600 le abitazioni completamente distrutte in questi 3 mesi di Operazione “Muro di Ferro”, con centinaia di arresti, 22 mila sfollati, e decine di morti.
Mentre gli occhi di tutti sono – giustamente – puntati su Gaza, il governo di Tel Aviv rafforza la sua politica espansionista e di occupazione permanente dei territori della West Bank. Cominciando proprio dai campi profughi del nord, le “piccole Gaza” della Cisgiordania.

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Moira Amargi

Moira Amargi esiste ed è una persona specifica, ma il nome è uno pseudonimo, usato quando pubblica report sulla Palestina o dall'interno di cortei e momenti di conflitto sociale a rischio repressione. È stata corrispondente per L'Indipendente dai Territori Palestinesi occupati.

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