La Commissione Agricoltura della Conferenza delle Regioni ha approvato all’unanimità, il 29 aprile, un ordine del giorno che chiede al governo di apportare pesanti modifiche (se non di eliminare del tutto) l’art. 18 del nuovo decreto Sicurezza, il quale mette fuori legge coltivazione, trasformazione e vendita di infiorescenze di canapa a basso tasso di THC. Si tratta di un settore, sottolinea la Commissione, che conta 3 mila aziende e 30 mila addetti. Le conseguenze dell’art. 18 potrebbero dunque avere un impatto devastante su tutta la filiera.
L’allarme era già stato lanciato da Canapa Sativa Italia, Confagricoltura, Coldiretti e Filiera Italia, i quali avevano dichiarato che il decreto avrebbe potuto paralizzare l’intero comparto, mettendo migliaia di aziende nell’incertezza proprio alla vigilia della stagione agricola. Tuttavia, il governo ha scelto di tirare dritto. Il paradosso, sottolinea Federico Caner, coordinatore della Commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni, è che la norma va a impattare e penalizzare solamente il made in Italy, in quanto i medesimi prodotti possono ugualmente essere importati dall’estero, secondo quanto previsto dalla normativa europea. E il danno è ingente, se si considera che, tra fatturato, indotto e asset immobilizzati, il patrimonio stimato si aggira intorno ai 2 miliardi di euro. Per questo motivo, prosegue Caner, «nelle prossime ore partirà dalla Commissione Politiche Agricole una lettera al ministro Lollobrigida» al fine di chiedere «di valutare la revisione dell’articolo 18 del testo di legge» e «permettere l’utilizzo delle infiorescenze di canapa contenenti cannabidiolo anche per usi diversi dal florovivaismo professionale».
Intanto, le associazioni di settore non si arrendono e annunciano ricorsi a livello nazionale ed europeo. Tuttavia, fino alla sospensione o all’annullamento del decreto, chiunque decidesse di proseguire l’attività compirebbe atti di disobbedienza civile, con rischi e conseguenze annessi. Sul fronte politico, +Europa ha annunciato un referendum abrogativo, chiedendo a tutte le forze di minoranza di unirsi nella raccolta firme per contrastare una norma giudicata tanto irragionevole quanto dannosa per l’economia, la libertà d’impresa e la coerenza giuridica. Per tutto il mese di maggio, inoltre, sono previste proteste dei negozianti, che culmineranno il 31 maggio in una grande manifestazione contro il decreto.