In questi primi 30 giorni dell’anno, nelle carceri italiane, si sono registrati 13 suicidi, il numero più alto negli ultimi 10 anni, che supera di gran lunga i 7 del 2022, anno in cui i suicidi nei penitenziari hanno toccato il loro apice, arrivando a toccare quota 85. L’ultimo risale al 29 gennaio, ed è stato segnalato [1] dalla UILPA, il ramo della Polizia Penitenziaria della UIL. Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, la problematica è irrisolvibile, eppure uno dei principali fattori di disagio segnalato più volte dalle organizzazioni per i diritti dei detenuti è l’alto tasso di sovraffollamento degli istituti, a cui vanno aggiunte anche le condizioni spesso ai limiti in cui vivono i carcerati italiani, non raramente privati di spazi sociali, adeguata formazione, e qualche volta addirittura di prime necessità come l’acqua calda.
Dei 13 suicidi segnalati a gennaio, 12 si sono verificati per impiccagione e 1 è avvenuto a causa di uno sciopero della fame. A questi, poi, vanno aggiunti altri 19 decessi per “altre cause”, come quelle naturali, che sommati ai suicidi restituiscono un totale di 32 morti, più di uno al giorno. L’ultima ricerca [2] del Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale, pubblicata questo 4 gennaio e aggiornata al 18 aprile 2023, mostra come degli 85 suicidi registrati nel 2022, picco storico [3] assoluto da almeno il 1992, “34 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali” quali individui “senza fissa dimora” o “con disagi psichici”. Di questi 80 erano uomini e 5 erano donne e, contrariamente a quanto si possa pensare, molti si sono verificati secondo tempistiche inaspettate: la stessa ricerca del Garante mostra come “troppo breve è stata in molti casi la permanenza all’interno del carcere”, tanto che 50 persone su 85, il 65% del totale, si sono tolte la vita nei primi 6 mesi di carcere, di cui 21 nei primi tre mesi, 15 nei primi 10 giorni e addirittura 9 nelle prime 24 ore. Lo stigma sociale di essere percepito come un criminale, insomma, gioca un ruolo preponderante nelle ragioni che spingono un detenuto a suicidarsi e dimostra come a dover cambiare è in primo luogo la cultura carceraria.
A queste considerazioni si aggiungono anche le scarse condizioni in cui versano i carcerati italiani, contro le quali parecchie associazioni ed enti continuano a lanciare allarmi. Secondo gli ultimi dati [4] forniti dal Garante nei primi 14 giorni del 2024 si è registrato un sovraffollamento del 127,54% mentre a dicembre si contavano quasi 10.000 detenuti oltre il limite [5] di capienza nazionale. La conta dei detenuti continua, inoltre, ad aumentare, tanto che negli ultimi tre anni si è registrato un innalzamento del numero di carcerati di 8.000 unità, pari a un incremento del 13,31%. Per tale motivo l’Unione Europea ha chiesto all’Italia l’introduzione di misure diverse dalla detenzione penitenziaria, ma davanti a esse il Governo Meloni ha inasprito le pene, come nel caso della nuova legge riservata agli ecologisti [6] o del cosiddetto “decreto rave [7]”. Oltre al sovraffollamento, ad allarmare è anche lo stato in cui versano le strutture, spesso obsolete e vecchie quasi, e in certi casi oltre, un secolo. Inoltre, secondo uno studio dell’Osservatorio dell’Associazione Antigone condotto su 96 penitenziari, nel 25% delle strutture visitate le celle contano meno di 3 metri quadri calpestabili a detenuto, e alcune di esse non sono dotate di doccia, riscaldamento e acqua calda; gli spazi sociali sono ridotti all’osso, l’accesso al verde è in molti casi impossibile e le misure rieducative e di formazione risultano spesso inadeguate, tanto che nel 2021 a fronte degli 896 educatori richiesti ne erano presenti solo 733, con picchi al ribasso di 1 ogni 152 detenuti.
Davanti alle scarse condizioni riservate ai detenuti italiani, in Italia negli ultimi anni si è registrato un taglio nella spesa riservata alle strutture penitenziarie. Nella legge di bilancio del 2023, infatti, si leggeva che a partire dall’anno scorso si sarebbe dovuta attuare una razionalizzazione del personale che avrebbe dovuto portare a risparmiare quasi 10 milioni. Carlo Nordio ha definito quella dei suicidi in carcere «una malattia ineliminabile», ma come risponde [8] la UILPA, “le malattie si curano”. Per farlo occorre agire alla radice della percezione comune sui detenuti, ma anche attuare un ripensamento che muova i suoi primi passi dagli aspetti concreti che rendono tanto difficile la vita dei carcerati: migliorare le strutture, aumentare il personale e soprattutto puntare sul processo rieducativo e formativo che dovrebbe essere il principio fondante di qualsiasi struttura penitenziaria, che più che ruotare attorno al concetto di punizione dovrebbe gravitare su quello di educazione.
[di Dario Lucisano]