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Contro l’inflazione la Spagna ha deciso di aumentare il salario minimo

Il 12 gennaio, il Primo Ministro spagnolo Pedro Sánchez ha pubblicato un post [1] su X in cui comunica di avere trovato un accordo con i sindacati UGT e COO in relazione al salario minimo, stabilendo che nel 2024 gli stipendi non potranno scendere sotto i 1.134 euro lordi al mese distribuiti in 14 mensilità. Con la nuova intesa, che non è stata siglata dagli imprenditori, la Spagna intende combattere la crescente inflazione che sta colpendo l’Eurozona, promuovendo una misura che interessa, a detta dello stesso Sánchez, 2,5 milioni di lavoratori «soprattutto giovani e donne», parole sottoscritte dal segretario di Stato al Lavoro Joaquín Pérez Rey. La Spagna, che negli ultimi anni ha proposto una serie di misure di natura sociale, è uno dei 21 Paesi dell’Unione Europea ad avere una legge che regoli il salario minimo, mentre la lista di Stati che ne sono privi si limita a 6 nomi, tra cui certamente spicca quello dell’Italia, in cui la stessa Ministra del Lavoro Marina Calderone si è detta contraria [2] alla misura, e favorevole piuttosto alla «contrattazione».

La nuova misura spagnola relativa al salario minimo porta a un aumento degli stipendi pari al 5% rispetto ai 1.080 euro del 2022, che tradotto significano 54 euro in più al mese. Sul tavolo delle trattative erano inizialmente presenti anche gli industriali, i quali tuttavia hanno deciso di non firmare l’accordo perché chiedevano che l’aumento si limitasse a un iniziale 3%. L’innalzamento dei salari, sebbene annunciato solo a metà gennaio, avrà effetto retroattivo e sarà valido a partire dall’inizio inizio mese, risultando così effettivo sin dalla prima busta paga dell’anno. Questa nuova misura di innalzamento degli stipendi non è la prima promossa dal governo Sánchez, che dal 2018 – anno del suo insediamento – a oggi ha portato a un incremento totale del 54% del salario minimo, pari, come sottolinea [3] lo stesso Rey, a 5.573 euro all’anno; ma a quanto dice il Premier, quello annunciato venerdì non dovrebbe essere neanche l’ultimo provvedimento relativo alla questione, tanto che nello stesso post su X Sánchez fa riferimento a un «obiettivo 60%».

Sánchez è alla guida del Governo spagnolo dal 2018 e si è reinsediato [4] all’esecutivo questo novembre, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni annunciando elezioni anticipate in seguito a una dura sconfitta alle amministrative [5]. Il suo Governo non è affatto nuovo a misure di sostegno sociale, che il Premier spagnolo è riuscito a finanziare anche grazie a misure di tassazione straordinaria [6], attaccando per via diretta le banche e i patrimoni, nonostante l’avversione [7] dell’Unione Europea: oltre all’annuale innalzamento del salario minimo, infatti, Sánchez ha promosso misure di diritto alla casa [8], rendendo disponibili circa 50.000 affitti a prezzi calmierati, ma ha anche dato avvio a un equivalente del nostro reddito di cittadinanza, aumentato le pensioni, istituito fondi speciali dedicati ai giovani, promosso la lotta alla violenza di genere, e portato avanti altre numerosi provvedimenti [9]. La misura di innalzamento del salario minimo, insomma, si colloca sulla scia di una serie di riforme e delibere di natura sociale, che contraddistinguono la Spagna da cinque anni a questa parte.

Nell’Unione Europea sono solo sei i Paesi sprovvisti di salario minimo, ossia Austria, Danimarca, Cipro, Finlandia, Svezia, e, infine, Italia. Nel Belpaese, la maggior parte dei partiti di opposizione ha proposto una misura di introduzione di un minimo salariale, che tuttavia non è mai stata appoggiata dal Governo; a detta della Ministra Calderone ragionare su una equa retribuzione significa in primo luogo «tener conto che nell’ambito della contrattazione collettiva il valore della restituzione in termini orari di un importo è data da tutta una serie di fattori», e l’introduzione di uno stipendio minimo non cambierebbe davvero gli equilibri lavorativi, né risolverebbe le situazioni di fragilità. La proposta di legge, rigettata [10] dalla maggioranza questo novembre, prospetta l’introduzione di un salario minimo pari a 9 euro all’ora ed è appoggiata tanto dall’Unione Europea, quanto dalla giurisprudenza italiana. Dopo il suo affossamento, è stato presentato un emendamento per la sua introduzione alla legge delega in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva, firmato da Pd, M5s, Avs, Più Europa e Azione.

[di Dario Lucisano]