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Anche Google lancia la propria IA generativa, per ora schivando l’Europa

Mercoledì 10 maggio Google ha tenuto I/O, l’evento annuale attraverso cui la Big Tech espone al pubblico e agli investitori i suoi progetti futuri. In questo 2023, la multinazionale ha presentato i suoi nuovi modelli di smartphone, ha illustrato le specifiche di un tablet e, soprattutto, ha parlato a più riprese dei grandi piani previsti per l’intelligenza artificiale. Il pezzo forte della presentazione è stato l’annuncio attraverso cui si è rivelato che Bard, il chatbot sviluppato internamente all’azienda, sia pronto per abbandonare il periodo di prova al fine di raggiungere finalmente 180 nazioni, nessuna delle quali appartiene all’Unione Europea.

Spulciando la lista ufficiale pubblicata sul blog [1]di Google, non è infatti difficile notare che i Paesi membri dell’UE siano tutti assenti dalla corposa lista di coloro che potranno liberamente utilizzare le funzionalità di Bard, una mancanza che il gigante tecnologico non ha motivato attraverso alcun comunicato ufficiale. L’unico modo per inquadrare una simile mancanza è dunque quello di fare affidamento alla promessa che il servizio “sarà gradualmente espanso a più nazioni e territori in una maniera che sia consistente con i regolamenti locali”, una posizione che può essere ulteriormente raffinata grazie a una dichiarazione rilasciata dalla Big Tech a WinFuture [2] in cui si accenna alla necessità di mettersi a norma con il GDPR e con altre eventuali «licenze aggiuntive».

L’atteggiamento dimostrato dalla Big Tech sembra dunque rappresentare la naturale reazione a un panorama normativo che si dimostra in continua evoluzione, un momento di quiete che precede il voto dell’Unione Europea che andrà ad approvare definitivamente l’AI Act [3], un pacchetto di leggi che un domani potrebbe imporre nuove regole a Bard e ai suoi omologhi. La mossa di Google può dunque essere interpretata come una forma di opportuna cautela, tuttavia non sfugge anche la possibile presenza di un sottotesto dai toni più intimidatori. 

Le aziende tecnologiche partecipanti all’oligopolio del Mercato dei dati ci hanno d’altronde abituati male: in molteplici [4]occasioni [5]hanno minacciato l’intenzione di annullare la propria presenza in quei Paesi che avevano palesato il desiderio di valorizzare le tutele della privacy e le regole dell’antitrust, quindi vien difficile escludere che Google stia tacitamente suggerendo all’UE di non calcare troppo la mano nel definire le normative contro le intelligenze artificiali, pena l’inaccessibilità dei servizi. Per come è formalizzato in questo momento, l’AI Act causerebbe in effetti qualche grattacapo a Bard e a ChatGPT, se non altro perché le obbligherebbe entrambe a garantire una trasparenza che potrebbe tradursi in conseguenze antieconomiche.

Resta dunque aperta un’importante incognita, ovvero se l’Unione Europea si possa permettere di rallentare l’avvento delle IA. Il debutto esplosivo [6] di ChatGPT ha creato a fine 2022 una corsa all’oro che ha spinto l’imprenditoria a orbitare tra la bieca speculazione e la sincera spinta alla rivoluzione industriale 4.0. Le macchine in questione sono ancora flagellate da terribili incompetenze che vengono generosamente definite “allucinazioni”, inoltre non è chiaro come le industrie coinvolte abbiano intenzione di tutelare i diritti umani e di rispettare le leggi dedicate a impedire i comportamenti anticompetitivi, tuttavia le intelligenze artificiali generative sono non di meno strumenti molto promettenti e l’accessibilità agli stessi è considerata da molti come una necessità impellente per preservare la rilevanza sull’economia globale.

[di Walter Ferri]