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Sanzioni alla Russia: l’UE vara il sesto pacchetto. Cos’hanno portato i primi cinque?

Dopo settimane di discussioni e rinvii, l’Unione europea ha trovato l’intesa tra i 27 paesi membri e ha varato il sesto pacchetto di sanzioni rivolto alla Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina dello scorso 24 febbraio. I leader dell’UE hanno optato per un embargo parziale alle forniture di greggio provenienti da Mosca. Infatti, il blocco immediato riguarda il petrolio trasportato via mare e non quello importato attraverso gli oleodotti, una condizione richiesta dall’Ungheria per far cadere la propria contrarietà. Il pacchetto di sanzioni include, inoltre, l’espulsione di Sberbank, la più grande banca russa, dal sistema SWIFT e l’inserimento nella lista nera delle persone coinvolte in presunti crimini di guerra commessi in Ucraina, nonché del capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill.

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Oleodotto Druzhba

A vincere le resistenze [2] di Viktor Orbán, primo ministro ungherese, e dei leader dei paesi limitrofi sono state l’esenzione delle importazioni in Europa attraverso gli oleodotti dal sesto pacchetto di sanzioni e l’inserimento di una clausola con cui Bruxelles si impegna a introdurre “misure di emergenza” in caso di interruzione della fornitura di energia da parte di Mosca. Così, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca – tre paesi attraversati dall’oleodotto Druzhba (il più lungo del mondo) – hanno ottenuto una garanzia di sostegno da parte dell’UE in caso di misure ritorsive del Cremlino in campo energetico. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha scritto [3] sul suo profilo Twitter che la misura “ridurrà di circa il 90% le importazioni di petrolio dalla Russia entro la fine del 2022″. Dal momento che circa i due terzi del greggio importato proviene da collegamenti via mare, le parole di Ursula von der Leyen lasciano intendere un futuro inasprimento delle sanzioni, con il coinvolgimento delle forniture tramite oleodotti. Verso la stessa direzione anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha dichiarato: «Molto presto torneremo al Consiglio per uno stop totale al petrolio russo».

Infine, nell’ultimo provvedimento di Bruxelles hanno trovato spazio il piano per rafforzare la difesa comune, basato sul coordinamento relativo all’acquisto congiunto di armi per evitare una competizione interna nel riarmo degli arsenali, e le opzioni possibili per sbloccare il grano ucraino, con il presidente francese Emmanuel Macron che ha proposto [4] una risoluzione da parte delle Nazioni Unite. A poche ore dall’annuncio del sesto pacchetto di sanzioni rivolto a Mosca è lecito [5] interrogarsi sull’efficacia delle cinque misure precedenti e quindi sull’influenza nei confronti dell’economia russa. Secondo un’analisi prodotta [6] dal Centro di Ricerca sull’Energia e l’Aria Pulita (CREA), durante i primi due mesi del conflitto Mosca ha quasi raddoppiato le entrate dalla vendita di combustibili fossili rispetto al 2021, compensando la riduzione delle esportazioni con l’aumento dei prezzi. Non bloccando le importazioni energetiche, le sanzioni occidentali si sono rivelate inutili e soprattutto controproducenti, visto che il flusso di miliardi di euro/dollari verso Mosca è stato continuo: dall’inizio del conflitto, la Russia ha esportato combustibili fossili per 63 miliardi di euro, di cui 44 miliardi provenienti dai paesi europei. I numeri assumono maggiore rilevanza se paragonati ai dati relativi a tutto il 2021, quando l’UE ha speso circa 140 miliardi di euro in forniture. Al flusso di capitale nelle casse russe si è affiancato in Occidente il fenomeno dell’inflazione (in Italia si è attestata [7] a maggio al 6,9%, ai massimi dal 1986), che ha ridotto il potere di acquisto di milioni di cittadini ma non quello delle multinazionali energetiche. Secondo Greenpeace, dall’inizio del conflitto in Ucraina, “le compagnie petrolifere hanno guadagnato almeno 3 miliardi di euro di extra profitti dalla vendita di diesel e benzina in Europa”.

Le sanzioni alla Russia hanno portato l’UE, almeno nelle intenzioni, a concentrarsi sulla svolta sostenibile per poter (grazie anche alla ricerca di nuovi fornitori energetici) interrompere in maniera definitiva i rapporti con Mosca. È stato così presentato [8] il RePowerEu, una serie di misure il cui fine è quello di “ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi e portare avanti velocemente la transizione verde”. Tuttavia, il piano europeo è stato accompagnato [9] sin da subito da non poche perplessità, visto il sacrificio dell’ambiente e dell’Agenda 2030 in nome dell’indipendenza energetica dalla Russia.

[Di Salvatore Toscano]