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Perché, anche all’interno della strategia vaccinale, puntare sulla terza dose è insensato

Nell’affrontare la pandemia di Covid-19 la strategia globale si è da subito concentrata sulla vaccinazione di massa come unica arma. Ogni altra possibile soluzione che, di fatto, avrebbe potuto quantomeno integrare e potenziare la stessa campagna vaccinale, è passata invece in secondo piano. Timidamente, dopo quasi due anni, si è giunti ad approvare alcune terapie monoclonali [1], mentre però è già cominciata la somministrazione di una terza dose vaccinale a favore, si badi bene, dei soli paesi ricchi. Un richiamo che ha letteralmente scatenato una bufera [2] nella Food and Drug Administration (Fda) statunitense e che, a conti fatti, risulta approvato in una pressoché totale assenza di evidenze scientifiche. Un piano che, come vedremo, anche all’interno della strategia della vaccinazione di massa, ha scarse possibilità di successo, se il suo obiettivo è, come dichiarato, quello di sconfiggere la pandemia.

I dubbi nella comunità scientifica

Al momento dell’approvazione, gli unici studi condotti sull’efficacia e la sicurezza della terza dose erano quelli avanzati dalle stesse aziende produttrici [3]. Discorso a parte per i soggetti immunologicamente fragili per i quali, se non altro, qualche evidenza [4] c’era già. Motivo per cui si è deciso di partire proprio da questi, ma per il resto della popolazione la comunità scientifica chiede cautela e resta divisa. Ciononostante, Israele e Regno Unito sembrano già propensi all’estensione graduale del richiamo a tutta la popolazione, basando però tale scelta più sulla speranza che sui dati. Non a caso, negli Stati Uniti, la Fda ha recentemente frenato una strategia simile, ribadendo come, al massimo, la terza dose possa essere utile solo per gli over 65 [5]. Misura quanto meno sostenuta da un recente studio [6]. Sulla questione, per i primi di ottobre è atteso anche il parere dell’Agenzia europea del farmaco (Ema).

Questi i punti di partenza, ma il nocciolo della questione è un altro. Per arrivarci è giusto chiedersi quale sia l’obiettivo di fondo della strategia in corso: si punta a sconfiggere la pandemia o più modestamente si cerca di ridurre i ricoveri nei paesi ricchi? Se la risposta è la prima, siamo fuori strada. Se è la seconda, potrebbe non funzionare a lungo.

Perché si tratta di una strategia insensata

Anche fosse basata su solide ricerche scientifiche, la terza dose vaccinale continua infatti a non avere senso, almeno nella logica di risoluzione dell’emergenza pandemica.

Il virus muta rapidamente, già il vaccino attuale venne progettato sul ceppo originario e la diffusione ormai totalitaria della cosiddetta variante Delta ha cambiato le carte in tavola. I vaccini attuali, secondo gli studi, non saranno in grado di procurare l’immunità di gregge. Come abbiamo già spiegato con dovizia di fonti [7]: la spinta alla vaccinazione di massa sarebbe mossa dall’auspicio (non dalla certezza) che una popolazione nel complesso più immunizzata – come spiega una simulazione [8] – possa determinare una riduzione della circolazione virale e favorire quindi il passaggio da una condizione epidemica ad una endemica. Si verificherà questo scenario? Nessuno è disposto a scommetterci. Per provarci il presupposto sarebbe uno: fare in modo che ad essere vaccinata con doppia dose nel più rapido tempo possibile sia la gran parte della popolazione umana, in tutti i Paesi. Questo per il semplice fatto che, qualora emergesse una ulteriore variante in grado di diventare dominante, ci sono ampie possibilità che questa sarebbe in grado di superare del tutto la barriera dei vaccini attualmente in commercio, rendendoli di fatto inutili anche per chi si fosse sottoposto a tre o magari più dosi.

Anche l’OMS è decisamente contraria

Ma la campagna vaccinale non marcia in questa direzione, tutt’altro. E anche vedendo l’immunizzazione di massa come la strategia migliore a nostra disposizione, si fa difficoltà a comprendere i criteri scientifici dell’accelerazione data al cosiddetto ‘booster’. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, si è da subito opposta alla terza dose, «almeno finché – ha precisato – non si siano immunizzati con due dosi i più vulnerabili in tutto il mondo». Secondo un editoriale di Nature [9], a metà agosto, il 58% delle persone nei paesi ad alto reddito aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre nei paesi a basso reddito questo numero si è attestava solo all’1,3%. Dello stesso parere, inoltre, il prestigioso British Medical Journal (BMJ). Sfruttare l’iniquità dei vaccini: un crimine contro l’umanità? [10], questo il titolo di un loro documento che denuncia un vero e proprio apartheid vaccinale nei confronti dei 50 paesi più poveri. Questi, dove vive oltre il 20% della popolazione globale – spiegano – hanno infatti ricevuto solo il 2% delle dosi di vaccino disponibili, mentre le potenze del Nord del mondo si sono assicurate dosi extra. Ad esempio, lo strumento dell’Oms che raccoglie dati aggiornati sulle linee di approvvigionamento di vaccini in rapporto alla popolazione (IMF-WHO COVID-19 Supply Tracker), evidenzia come Canada, Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Stati Uniti si siano assicurati dosi per una copertura stimata tra il 200 e il 400% della loro popolazione.

Una nuova variante taglierà fuori gli attuali vaccini

Le potenzialità della vaccinazione di massa, quindi, vacillano a causa delle strategie di mercato e delle solite disparità. I possibili vantaggi di fornire un’immunizzazione globale allo scopo di eradicare il Sars-Cov-2 vengono quindi meno dal momento in cui persistono divari nella distribuzione delle dosi. Secondo un recente studio [11], tanto più rapida è la somministrazione dei vaccini, tanto più si riduce il rischio che nuove varianti emergano. A patto però che, nel mentre, si mantengano altre misure protettive. D’altra parte – commentano i ricercatori – «i nostri dati suggeriscono anche che i ritardi nella vaccinazione in alcuni paesi renderanno più probabile l’emergere, in questi, di un ceppo resistente. Senza un coordinamento globale, questa possibilità, sebbene eradicata in alcune popolazioni, potrebbe persistere in altre». Come detto: cosa accadrebbe agli individui largamente immunizzati se una variante resistente ai vaccini varcasse i confini dei paesi più fortunati? Così, in quest’ottica, la situazione attuale, oltreché ingiusta, appare sconsiderata, quindi, pericolosa.

Salute globale e liberismo sono incompatibili

Salute globale e interessi farmaceutici non marciano nella stessa direzione. E intanto, pur persistendo una situazione di emergenza, la possibilità che vengano sospesi i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini, resta remota. «Pfizer si aspetta che le nazioni ricche ignorino l’Oms e raccomandino i richiami contribuendo ad aumentare le sue entrate», ha poi denunciato senza filtri il BMJ. D’altronde – ha aggiunto la rivista – «nei primi tre mesi del 2021 ha già incassato 3 miliardi di euro e ha registrato utili per centinaia di milioni». Stesso discorso per Moderna, «che ha ricevuto aiuti pubblici per il suo vaccino e guadagnerà diversi miliardi di dollari dalla vendita di questo». La start up americana, inoltre, ha partorito 5 degli 8 nuovi miliardari farmaceutici emersi grazie alla pandemia. Il tutto poi, a fronte di tasse statali irrisorie. «Bisogna smetterla di proteggere i profitti e i monopoli delle grandi case farmaceutiche a scapito della vita delle persone», chiedeva già tempo fa la People’s Vaccine Alliance [12], un gruppo di organizzazioni – tra cui ActionAid, Oxfam, Frontline AIDS e UNAIDS – che ha lanciato una petizione sottoscritta da oltre un milione di persone. A livello politico, invece, magra consolazione solo l’ultimo G20 salute: di colmare i divari internazionali, se non altro, se ne inizia a parlare.

Nel frattempo mentre metà del mondo continua a non avere accesso ai vaccini, nei paesi ricchi si procede con l’approvazione delle terze dosi, nonostante i rischi siano stati scarsamente valutati e i benefici appaiano tutt’altro che certi.

[a cura di Andrea Legni e Simone Valeri]