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L’Unione Europea darà sette miliardi all’Egitto per tenersi i migranti

L’Europa ha concepito un pacchetto di aiuti da 7,4 miliardi di euro per garantire che l’Egitto non lasci passare i migranti che potrebbero partire dalle sue coste, anche alla luce del disastro umanitario in corso a Gaza a seguito dell’aggressione israeliana. Ieri la premier italiana Giorgia Meloni si è recata al Cairo insieme alla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, nonché ai leader di Austria, Belgio, Cipro e Grecia, per siglare l’accordo con il governo egiziano che prevede, per i prossimi tre anni, 5 miliardi sotto forma di prestiti, 1,8 miliardi di investimenti e 600 milioni di concessioni a fondo perduto. L’accordo segue quello già stipulato con la Tunisia lo scorso anno. Secondo l’UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), sono 480 mila i rifugiati e i richiedenti asilo attualmente presenti in Egitto, la maggior parte dei quali fuggita dal Sudan in seguito allo scoppio della guerra.

I finanziamenti europei sono condizionati all’attuazione di una serie di riforme da parte del governo egiziano, tra cui spicchano misure legate all’immigrazione, all’energia e il rafforzamento del commercio nel canale di Suez. La mossa arriva sull’onda della stagione aperta [1] dalla firma del memorandum d’intesa con la Tunisia, nel momento in cui, se gli attraversamenti irregolari nel Mediterraneo centrale risultano fortemente in diminuzione, i flussi migratori si sono concentrati nei corridoi che partono Africa occidentale e dall’area del Mediterraneo orientale. La finalità primaria dello stanziamento dei fondi all’Egitto sarebbe, dunque, quella di creare le condizioni perché i flussi migratori possano essere frenati. A giovare degli aiuti europei, e questo è uno dei fattori più controversi, sarebbe un Paese, quello egiziano, che non è certo un baluardo di democrazia, ma che è al contrario governato [2] da un esecutivo di stampo fortemente autoritario, che reprime violentemente il dissenso e fa ampio uso dell’intimidazione politica e giudiziaria. Al suo vertice, da oltre un decennio, c’è Abdel Fattah al-Sisi. Quest’ultimo ha costantemente preso di mira organizzazioni umanitarie e oppositori della società civile. Le carceri egiziane, infatti, pullulano di prigionieri politici. L’economia del Paese è in ginocchio: il debito pubblico è cresciuto di quattro volte, sfiorando il 90% del PIL, e l’inflazione è galoppante. In questo contesto, il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Nonostante tale spaccato, le potenze Occidentali non fanno mancare il loro appoggio ad al-Sisi, che ora, in cambio del “pugno duro” nella gestione dei flussi migratori in uscita, potrà trovare su un piatto d’argento i denari dell’UE.

Nel frattempo, in Palestina e in Sudan continuano a morire sotto i colpi della guerra decine di migliaia di persone. Secondo le autorità sanitarie locali, a Gaza oltre 31.184 palestinesi sono stati uccisi, mentre si contano 72.889 feriti. I bambini morti sotto le bombe sono oltre 12.300: secondo l’UNRWA, negli ultimi mesi sono stati uccisi a Gaza “più bambini che in 4 anni di conflitto mondiale”. A causa delle ostilità in atto in Sudan, dove l’esercito si sta scontrando con forze paramilitari del RSF, sono morte oltre 12mila persone. Save The Children ha denunciato [3] che centinaia di migliaia di bambini malnutriti rischiano di morire insieme alle loro neomamme. Nel Paese la produzione alimentare è crollata, le importazioni si sono bloccate e i prezzi degli alimenti di base sono saliti del 45% in meno di un anno. Insomma, la crisi è profonda e la situazione esplosiva. Ma l’Egitto, trasformatosi in uno snodo sempre più traffico da cui transitano le rotte migratorie che conducono alla Libia e poi all’Italia, potrebbe presto essere indotto a costituire una vera e propria barriera politica e geografica tra le aree di Africa e Medio Oriente e il continente europeo. E mentre l’Italia, Paese di primo approdo, cerca di convincere l’Egitto a fare da “tappo” per fermare il transito di chi scappa da crisi e conflitti, nell’ultimo trimestre del 2023 – come rivelato da una recente inchiesta di Altraeconomia – ha esportato [4] verso Israele armi e munizioni per 2,1 milioni di euro. Contribuendo a fomentare quelle stesse guerre che alimentano i fenomeni migratori che cerca di arginare.

[di Stefano Baudino]