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Il Parlamento australiano ha chiesto ufficialmente di riportare a casa Assange

Il Parlamento australiano ha approvato, con larga maggioranza, una mozione per sollecitare Regno Unito e Stati Uniti a lasciare che il giornalista Julian Assange faccia ritorno nel suo Paese, l’Australia. La mozione è stata approvata con 86 voti a favore e 42 contrari, in quella che è stata definita “una dimostrazione di sostegno politico senza precedenti per il signor Assange da parte del Parlamento australiano”. Tra coloro che hanno votato a favore vi sono anche il premier australiano Anthony Albanese e i membri del suo gabinetto. Assange si trova da quattro anni rinchiuso nel carcere di Belmarsh, nel cuore di Londra. Il 20 e 21 febbraio prossimi, presso l’Alta Corte di Londra, si svolgerà [1] l’udienza finale in merito alla richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti: se questa dovesse avere esito positivo, Assange si troverà a dover affrontare, negli USA, un processo per 18 capi di accusa, molti dei quali per violazioni dell’Espionage Act del 1917. Rischia, per questo motivo, fino a 175 anni di prigione.

La mozione è stata presentata [2] in Parlamento dal deputato indipendente Andrew Wilkie, il quale ha dichiarato che «abbiamo quasi esaurito il tempo a disposizione per salvare Julian Assange». Ad appoggiare Wilkie vi era anche il deputato laburista Wilson, il quale ha sottolineato come le informazioni diffuse da Assange siano state «pubblicate senza conseguenze legali da organizzazioni mediatiche negli Stati Uniti». La mozione è stata appoggiata da parlamentari laburisti, da quelli indipendenti e dai Verdi; tra coloro che hanno votato contro si conta il leader dell’opposizione, Peter Dutton. Il testo presentato (e approvato) avanza la richiesta a Regno Unito e Stati Uniti di rilasciare il giornalista e di permettere il suo rientro a casa, in Australia, dalla sua famiglia. Solamente pochi mesi fa, circa un terzo dei deputati del Parlamento australiano aveva sottoscritto una lettera, indirizzata al governo degli Stati Uniti, per chiedere la fine di questa vicenda. «Ci sono persone che detestano quest’uomo, altre che lo venerano, ma quasi tutti concordano sul fatto che questa vicenda si sia protratta troppo a lungo. A prescindere da ciò che si pensa di Assange, in questo caso non è stata fatta giustizia» ha dichiarato Wilkie.

Con l’avvicinarsi della data definitiva per l’esito della richiesta di estradizione americana, sono sempre di più le voci, tra le istituzioni, che si pronunciano per il rilascio del giornalista. Nei giorni scorsi, anche la relatrice speciale ONU sulla tortura, Alice Jill Edwards, aveva chiesto [3] al Regno Unito di non estradare Assange negli USA, per via dei “considerevoli timori” che questi si troverebbe “a rischio di trattamenti assimilabili alla tortura o altre forme di maltrattamenti o punizioni” nelle carceri americane. Nel caso in cui Londra si pronunciasse a favore dell’estradizione, Assange potrebbe fare ancora ricorso, come ultimo, disperato tentativo, alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Dopo di che, il suo destino potrebbe essere segnato.

[di Valeria Casolaro]