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Il G7 incorona Zelensky ma sulla Cina mostra delle crepe

Il G7 andato in scena a Hiroshima, in Giappone, si è ufficialmente concluso. Durante il vertice dei leader delle sette economie più avanzate (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Italia, Giappone, Canada e Francia) sono stati dibattuti diversi temi: dalla guerra in Ucraina alla “minaccia” cinese. I grandi della Terra hanno ribadito la propria solidarietà al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, presente sabato al vertice allargato, mostrando un allineamento totale sull’impegno bellico a favore di Kiev. L’inquilino della Casa Bianca Joe Biden ha promesso [1] l’invio dei Caccia F-16 richiesti più volte da Zelensky, mentre altri leader, tra cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, hanno aperto alla possibilità di addestrare i piloti ucraini sui propri territori. A fare da contraltare all’allineamento sul conflitto tra Mosca e Kiev sono alcune crepe nei confronti delle relazioni con la Cina aperte non tanto dall’Italia, che con ogni probabilità seguirà [2] “l’invito” statunitense a non rinnovare la Nuova Via della Seta, ma dalla Francia e dalla Germania.

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Il presidente USA Joe Biden e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al G7 di Hiroshima

Uno degli obiettivi del G7 appena concluso era quello di rilanciare la presenza e dunque l’influenza dell’Occidente nei Paesi in via di Sviluppo, sempre più attratti verso legami solidi con Russia e Cina. Così, al vertice allargato sono stati invitati, tra gli altri, Australia, Corea del Sud, Indonesia, India e Brasile. In particolare questi ultimi, facendo parte dei Paesi BRICS, hanno intensificato le loro relazioni con Pechino e Mosca durante gli ultimi mesi. Al Vertice dello scorso giugno, è stata adottata [4]la Dichiarazione di Pechino del XIV Summit BRICS che tra i punti più importanti annovera la riforma della “governance globale”. Ciò si traduce nel ripensamento degli assetti di potere e nella necessità di un ridimensionamento del ruolo del dollaro, con l’obiettivo di abbandonare il sistema unipolare “americanocentrico” per orientarsi maggiormente verso un modello geopolitico multipolare.

In passato, l’Occidente è riuscito a tenere una presa solida sui Paesi in Via di Sviluppo grazie al fattore economico. Negli ultimi tre decenni, però, la situazione è cambiata: all’ascesa della Cina come potenza mondiale si è accompagnato un graduale declino da parte delle economie del G7. Se nel 1990 queste rappresentavano, infatti, il 66% del PIL mondiale, oggi la copertura è arrivata al 43%. Allo stesso modo, i grandi della Terra hanno perso terreno nel commercio mondiale, coprendo attualmente una quota pari al 27% (dal 52% del 1990). Dal canto suo, la Cina può sfruttare l’ethos di Paese del Sud del mondo per relazionarsi come pari con le economie emergenti, facendo valere ancor di più il suo peso commerciale. Un’influenza che non ha confini geografici e penetra anche nell’Alleanza del G7. Al suo interno, soltanto l’Italia, come ricordato anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha sottoscritto con Pechino il patto della Nuova Via della Seta, l’enorme progetto infrastrutturale che collegherebbe il Dragone al resto del mondo tramite nuove rotte terrestri e commerciali. Tuttavia, non siamo «l’unico Paese europeo ad avere rapporti stretti con la Cina», ha ribadito la leader di Fratelli d’Italia, riferendosi in particolar modo a Francia e Germania, le prime due economie comunitarie.

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Nuova Via della Seta cinese

È proprio la centralità economica, storicamente accompagnata dall’influenza geopolitica, di Pechino che preoccupa in particolar modo la vera guida del G7, gli Stati Uniti, nonché l’ordine mondiale [6] da loro costituito. Lo scorso marzo, Washington ha iniziato [7] a sondare il terreno per imporre delle sanzioni dirette non soltanto alla Russia ma anche alla seconda economia mondiale. Due mesi dopo, la segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen è atterrata in Giappone parlando della «coercizione economica» operata dalla Cina. Il riferimento è alle tensioni tra Pechino e Canberra che, dopo aver rimosso dazi e barriere nel 2015, sono sprofondate in un reciproco boicottaggio commerciale. Nel 2018, il governo australiano ha escluso Huawei dal network 5g del Paese, mentre dal 2019 ha partecipato al Quadrilateral Security Dialogue (Quad), formazione volta al contenimento cinese nell’Indo-Pacifico che coinvolge anche Stati Uniti, India e Giappone. Per tutta risposta, la Cina ha imposto sanzioni su vino, liquori, cotone, rame, carbone, zucchero e aragoste provenienti dall’isola.

L’Unione europea, trainata dalla posizione di Germania e Francia, ha assunto toni più prudenti e al G7 la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha parlato di “derisking senza decoupling“. Stando a tale formula, l’Europa dovrebbe limitare i rischi della dipendenza economica da Pechino, per esempio sulle materie prime strategiche, per evitare eventuali futuri contraccolpi simili a quelli provocati [8] dalle sanzioni a Mosca. Il tutto senza un divorzio completo dalla Repubblica popolare, di cui l’Europa non può fare a meno come fornitore, e non vuole fare a meno come mercato. Nel frattempo, tutti i leader del G7 hanno firmato un comunicato molto duro nei confronti delle operazioni militari cinesi intorno a Taiwan, l’isola non riconosciuta dall’Occidente ma difesa da quest’ultimo, in particolar modo dagli Stati Uniti.

[di Salvatore Toscano]