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Come cementificazione e ritardi della politica hanno favorito il disastro in Romagna

La somma tra fenomeni meteorologici estremi e cattiva gestione del territorio dà un unico risultato: il disastro, come quello che in Emilia-Romagna ha provocato per ora 14 vittime. Lo scorso anno in Italia si sono verificati 310 eventi estremi, come siccità [1] e alluvioni, segnando un aumento del 55% rispetto all’anno precedente; l’Emilia-Romagna è l’ottava regione europea in questa speciale classifica. Durante l’ultima alluvione sono caduti, nella fascia appenninica che va da Bologna a Cesena, 200 millimetri di pioggia, circa un quinto della quantità annuale. Per contenere l’acqua in eccesso dei fiumi ed evitarne la tracimazione, è stato messo a punto un sistema di stoccaggio temporaneo, chiamato “cassa di espansione”. Tuttavia, come evidenziato nel Monthly Report [2] n.19, in Italia la messa in sicurezza del territorio procede a rilento. Nonostante gli studi e i progetti, in Romagna e dunque nella zona più colpita dalle ultime esondazioni non esiste [3]nemmeno una cassa di espansione.

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Secondo l’ultimo bollettino rilasciato dall’Agenzia regionale prevenzione ambiente (ARPA), in Emilia-Romagna sono esondati 22 fiumi e 37 Comuni sono stati interessati da allagamenti, registrando 14 vittime e migliaia di sfollati. Si tratta dell’ennesimo evento meteorologico estremo, un fenomeno in crescita a causa dei cambiamenti climatici [5]. Uno dei fiumi che ha rotto gli argini durante l’ultima alluvione è stato il Savio a Cesena. Nel 2020, è stata presentata una relazione idraulica [6] nell’ambito della “messa in sicurezza di un tratto particolarmente a rischio dell’abitato di Cesena”. Nel documento vengono citate le casse di espansione e il loro “contributo fondamentale” per ridurre “i picchi di piena” del Savio. Nonostante il monito, la prima riunione relativa alla progettazione dell’opera si è tenuta soltanto due anni dopo.

Il consumo di suolo ha come conseguenza l’impermeabilizzazione del terreno che così non riesce più ad assorbire l’acqua. Un fenomeno alimentato anche dalla siccità, sempre più frequente nel nostro Paese. Come risultato, le piogge non riescono a penetrare nel suolo, allagando le città e lasciando a secco le falde acquifere. Nel 2017, la giunta di Stefano Bonaccini ha adottato, contro il consumo di suolo, una legge che si è rivelata essere vuota e dunque inutile, al punto da attrarre le critiche di geografi, architetti e associazioni ambientaliste. Nel triennio 2017-2020 ogni abitante ha perso [7] oltre 3 mq di campagna, per un totale di quasi 1500 ettari complessivi. Su Altreconomia [8], il docente di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano Paolo Pileri ha dichiarato che si è continuato a costruire «nelle aree protette (più 2,1 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità di frana (più 11,8 ettari nel 2020-2021), nelle aree a pericolosità idraulica dove l’Emilia-Romagna vanta un vero e proprio record essendo la prima Regione d’Italia per cementificazione in aree alluvionali». In generale, si tratta della terza regione più cementificata d’Italia: 8,9% di suolo impermeabilizzato contro il 7,1% nazionale.

In un rapporto del 2020, il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici ha dichiarato: «i dati disponibili sull’Italia in merito alle precipitazioni suggeriscono che le condizioni di rischio geologico, idrologico e idraulico risultino esacerbate in conseguenza di un aumento del numero degli eventi di precipitazione estrema (caratteristica attesa dagli studi di cambiamento climatico) e una crescente urbanizzazione del territorio che ha portato, da un lato, a un incremento dei deflussi e ad una riduzione della capacità di smaltimento da parte degli alvei (tombamenti, riduzione dell’estensione delle aree golenali, ecc.), dall’altro lato, a un aumento dell’esposizione al rischio». L’Italia resta l’unico tra i grandi Paesi europei a non disporre di un Piano di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, al di là dei progetti incompleti pubblicati [9] dal governo Meloni.

[di Salvatore Toscano]