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Studio su Nature smonta la bufala del Covid diffuso dai procioni di Wuhan

Dopo aver ingiustamente incriminato pipistrelli, pangolini, visoni e additato come potenziali colpevoli, tassi, conigli e furetti, l’ombra del sospetto è ricaduta, nelle ultime settimane, sui tanukiSe è vero che i cani procione erano presenti nel mercato cinese di Wuhan, non ci sono prove del fatto che fossero infetti e che possano aver favorito addirittura un doppio salto di specie [1] del virus verso l’uomo, con buona pace di riviste come Focus [2] o quotidiani come la Repubblica [3] che hanno avallato presunte «evidenze che confermano la tesi del collegamento tra Covid-19 e il commercio di animali selvatici». Le evidenze, infatti, non ci sono. A discolpare i cani procione sono ora le analisi dei campioni ambientali e animali raccolti dentro e nei dintorni del mercato di Wuhan, all’inizio del 2020, dal team del virologo George Gao dell’Accademia Cinese delle Scienze. I risultati dello studio, di cui erano trapelate alcune anticipazioni nei giorni scorsi, sono stati pubblicati su Nature [4].

All’indomani della chiusura del mercato, tra il primo gennaio e il 30 marzo 2020, i ricercatori hanno raccolto 1.380 campioni, di cui 923 di origine ambientale e 457 di origine animale, prelevati per esempio da acquari, animali randagi e merci invendute trovate in frigoriferi e congelatori. Ciò che emerge è che «Utilizzando RT-qPCR, il sars-CoV-2 è stato rilevato in 73 campioni ambientali, ma in nessuno dei campioni animali». Sebbene questi dati dimostrino che il sars-CoV-2 era diffuso nel mercato di Wuhan nelle prime fasi della pandemia, non forniscono le prove dell’eventuale salto di specie del virus in questo ambiente. 

Laddove la scienza, dopo tre anni, brancola ancora nel buio, i media si sono invece mossi in maniera disinvolta, inizialmente con l’obiettivo primario di insabbiare qualunque pista conducesse alla possibilità di una fuoriuscita del virus dall’Istituto di virologia di Wuhan. Mentre gli inquisitori digitali perseguitavano chiunque manifestasse un’opinione difforme rispetto alla narrazione del pensiero unico, lo storytelling mainstream ha rassicurato l’opinione pubblica specificando che i biolaboratori «sono presidi di sicurezza e non di offesa [5], sono strumenti di protezione perché permettono di fare una diagnosi su patogeni nuovi». 

La possibilità che il virus possa essere “scappato” dal laboratorio – portata avanti da Trump – è stata boicottata e censurata con l’accusa di “complottismo”, ed è emersa solo recentemente in chiave geopolitica anticinese, quando il capo dell’FBI Christopher Wray [6], in un’intervista a Fox News ha dichiarato che è «molto probabile» che il Covid-19 sia il risultato di un errore in un laboratorio a Wuhan. 

È bene ricordare quando, nell’aprile 2020, Luc Montagnier, intervenuto durante una diretta televisiva francese ai microfoni di Pourquoi Docteur [7], aveva dichiarato che parte del genoma del sars-CoV-2 sarebbe stato manipolato in laboratorio. Il virus – spiegò l’ex Premio Nobel per la Medicina – sarebbe il risultato di un lavoro di biologi molecolari, realizzato con una precisione e una minuziosità «da orologiai». Apriti cielo. Montagnier venne attaccato con ferocia e zittito, trattato alla stregua di un paranoico e di un «rincoglionito con demenza senile» (per queste dichiarazioni Matteo Bassetti è stato condannato [8] al pagamento di 6 mila euro agli eredi di Montagnier). I media scrissero che la “comunità scientifica” smentiva il Premio Nobel e che le sue dichiarazioni erano “fantasiose”. Ancora la Repubblica [9] titolava: “Coronavirus, perché la teoria del complotto (complice il Nobel Montagnier) a volte ritorna”, il Post [10] parlava di “teorie infondate”, i fact-checkers di Open [11] lo accusavano di disinformazione, mentre Il Riformista [12] lo faceva diventare un’icona dei No Vax e dei cospirazionisti.

Per mesi, chiunque si sia permesso di sollevare un’ipotesi alternativa a quella mainstream sull’origine “naturale” del sars-coV-2 è stato denigrato, perseguitato e ridicolizzato dai media. Meglio deviare l’attenzione e incolpare il pangolino o il cane procione. Eppure, dall’inizio della pandemia sono circolate testi alternative a quella “ortodossa”, via via sempre più accreditate. Neppure l’indagine dell’OMS [13], condotta in Cina, era riuscita infatti a mettere la parola fine sull’eterno dibattito sull’origine del virus. In una lettera su Science [14] 18 scienziati di fama mondiale avevano riaperto all’ipotesi di una fuoriuscita accidentale da un laboratorio: «Non si può ancora escludere. Servono nuove indagini», sollecitando “un’indagine adeguata”.

Neppure oggi, che la Casa Bianca ha deciso di sposare [15] in chiave anticinese la possibilità dell’origine artificiale del virus, sembra però sia possibile fare quello che si sarebbe dovuto fare tre anni fa: indagare in maniera obiettiva e trasparente le origini del sars-CoV-2. 

[di Enrica Perucchietti]