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La disinformazione sulle cause dei prezzi del gas copre la speculazione delle aziende

L’inflazione all’interno dell’Unione europea ha raggiunto a luglio il livello record del 9,8%, mentre il gas ha superato nelle scorse ore la soglia dei 290 euro al megawattora (MWh) sul mercato di Amsterdam. I due fenomeni sono correlati, dal momento in cui un aumento del prezzo dei beni energetici provoca di riflesso costi maggiori per i produttori e, quindi, beni e servizi immessi sul mercato a un prezzo più elevato rispetto al periodo precedente. La narrativa dominante degli ultimi mesi semplifica – disorientando i lettori – le cause di questi incrementi a un unico evento: la guerra in Ucraina, dimenticando diverse variabili esplicative, una su tutte la speculazione delle imprese. A questa, si aggiungono uno squilibrio (nato prima del conflitto Kiev-Mosca) tra domanda e offerta del gas – la prima in crescita dopo la fase acuta della pandemia e l’altra stabile, in uno scenario che provoca l’aumento dei prezzi – e un rendimento dell’eolico inferiore alle attese, che si ricollega alle conseguenze del cambiamento climatico.

Affrontando il tema dell’aumento dei prezzi a luglio, avevamo aperto all’ipotesi [1] di star vivendo all’interno di una bolla speculativa, dove (semplificando al massimo) i prezzi di vendita sono più alti di quelli reali, gonfiati dalla volontà di maggiori guadagni o contratti più vantaggiosi. In finanza, la speculazione ingloba tutti i tentativi di ottenere un guadagno da fluttuazioni del mercato in tempi brevi attraverso operazioni rischiose. Nella speculazione al rialzo – più famosa di quella al ribasso – gli individui acquistano dei titoli, prevedendo un aumento delle loro quotazioni (un aumento di “valore”), con l’obiettivo di rivenderli al maggior prezzo possibile. Oltre ai titoli, anche i beni possono essere al centro dell’attività speculativa. In particolare, i beni alimentari e quelli energetici hanno subito negli ultimi mesi ingenti incrementi, dettati non solo dal mancato incontro tra domanda e offerta ma anche dalla volontà dei paesi produttori e degli agenti economici di guadagnare di più dagli accordi esistenti. In tanti, e in particolare le multinazionali, stanno sfruttando la paura della scarsità dei beni agricoli ed energetici per vendere a un prezzo maggiorato o per stipulare contratti più vantaggiosi. Che l’inflazione abbia avuto un impatto sui costi per le attività è innegabile, ma che il prezzo finale attuale di un bene o di un servizio scaturisca esclusivamente dal fenomeno inflazionistico e sia esente da logiche speculative è tutto da vedere.

Alla luce di tali considerazioni può essere spiegato l’attuale prezzo del gas, gonfiato dal gioco speculativo e dagli interessi delle multinazionali energetiche, che negli ultimi mesi hanno segnato profitti da record. L’utile di Eni relativo alla prima metà dell’anno è stato di 7,39 miliardi di euro, in aumento del 600% rispetto ai primi sei mesi del 2021, quando la multinazionale del gas e del petrolio ha chiuso con 1,1 miliardi di guadagno. L’utile di Eni «o meglio extraprofitto deriva dalla speculazione sui prezzi dell’energia che sta mandando al fallimento le imprese e portando alla disperazione milioni di famiglie» ha commentato il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, che ha poi aggiunto: «Gli extraprofitti devono essere restituiti al 100% a famiglie e imprese». Un tentativo in tale direzione, seppur minimo, era contenuto nel nuovo Decreto Bollette approvato dal governo Draghi a luglio. Peccato che l’articolo 10 [2] della norma, relativo all’introduzione di una tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, sia scomparso dalla stesura finale, rafforzando di fatto i rapporti lungo l’asse esecutivo-De Scalzi, l’amministratore delegato di Eni che negli ultimi mesi ha accompagnato il ministro degli Esteri Luigi di Maio nelle spedizioni [3] alla ricerca di gas e petrolio tra Africa e Medio Oriente.

[di Salvatore Toscano]