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Le ragioni del viaggio di mezzo governo italiano dal “dittatore” Erdogan

Sono lontani i tempi in cui il presidente del Consiglio Mario Draghi definiva Recep Tayyip Erdoğan «un dittatore». In poco più di un anno, Italia e Turchia sono diventati infatti «partner, amici, alleati», così come dimostrano i nove accordi siglati durante il vertice inter-governativo tenutosi ad Ankara, a pochi giorni dal summit NATO di Madrid che ha visto [1] cadere il veto turco sull’adesione di Finlandia e Svezia in cambio della pelle dei curdi. Svariati i temi dell’incontro: dalla cooperazione per la guerra in Ucraina e soluzione allo stallo del grano e dei fertilizzanti fermi nel Mar Nero, al rafforzamento dell’interscambio economico, passando per l’energia, la Libia e gli accordi nell’industria della Difesa. Roma riconosce, dunque, il ruolo che Ankara ha assunto in Medio Oriente e in cambio promette un aumento del commercio e la persistenza del disinteresse verso l’uso delle armi vendute.

La settimana scorsa a Madrid, Draghi aveva schivato una domanda sui curdi e sul loro destino scaricando la responsabilità su Finlandia e Svezia, che permetteranno tra le altre cose l’estradizione dei membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) verso la Turchia, dopo aver offerto loro asilo negli ultimi anni. Il presidente del Consiglio italiano si è limitato a descrivere la situazione come «un punto molto importante», caduto però nell’oblio durante l’incontro con Erdoğan, dove Draghi si è limitato a «incoraggiare il presidente turco a rientrare nella Convenzione di Istanbul». Un tema tanto importante da essere dimenticato da mezzo esecutivo che ha accompagnato Draghi ad Ankara: il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, della Difesa Lorenzo Guerini, dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, della Transizione ecologica Roberto Cingolani e degli Esteri Luigi Di Maio. Questi ultimi, dopo aver raggiunto [2] intese in Medio Oriente e in Africa per rimpiazzare le importazioni di gas e petrolio dalla Russia, hanno firmato gli accordi con i loro omologhi per ribadire e rafforzare la cooperazione energetica con la Turchia, destinata a diventare il secondo partner dell’Italia, dopo l’Algeria. Ankara ha infatti aumentato del 62,5% il volume di gas trasportato attraverso il metanodotto Tanap (gasdotto Trans-Anatolico), che si collega al Tap (gasdotto Trans-Adriatico) in Puglia.

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Dal punto di vista energetico sussiste poi la questione dello sfruttamento degli idrocarburi presenti nelle acque cipriote, a cui Erdoğan si oppone per avere voce in capitolo sui profitti. La scorsa settimana l’Eni e la TotalEnergies hanno iniziato a perforare un pozzo esplorativo di gas al largo delle coste di Cipro, tuttavia una soluzione definitiva è ancora lontana, bloccata dai rapporti tra Grecia e Turchia, che nel 1974 invase l’isola in risposta alle rivendicazioni dei nazionalisti ciprioti circa l’annessione alla Grecia. Durante il vertice inter-governativo di ieri è stata invece espressamente sottolineata la volontà di aumentare l’interscambio economico lungo l’asse Roma-Ankara. «Abbiamo superato i 23 miliardi di dollari e quest’anno possiamo raggiungere anche i 25 miliardi», ha dichiarato Erdoğan al termine dell’incontro, per poi aggiungere: «con l’Italia abbiamo rapporti militari e della Difesa e siamo d’accordo per svilupparli e approfondirli». Il riferimento è ai 42 milioni di euro di armi vendute dal nostro paese nel 2021 e all’intesa raggiunta nel vertice circa «la protezione delle informazioni nell’industria della Difesa», che ha la finalità di garantire la sicurezza dei documenti classificati scambiati tra le parti nell’ambito delle attività di sviluppo industriale e approvvigionamento in campo militare.

Spazio poi alla condanna alla guerra in Ucraina e alla necessità dell’accordo che vede protagonisti la Turchia e le Nazioni Unite nella cessazione dello stallo relativo al grano nel porto di Odessa. L’ottimismo di Erdoğan, secondo cui in massimo dieci giorni si arriverà a un risultato positivo, si scontra con la realtà: il silenzio di Putin e la mancanza di un piano alternativo, non presente nei temi del G7 conclusosi [4] nei giorni scorsi in Germania. Dopo il lavoro diplomatico tra Mosca e Kiev, la Turchia punta a rafforzare il ruolo di intermediario tra le fazioni di Tripoli, Misurata, Bengasi e Tobruk, con la benedizione dell’Italia, dal momento in cui l’Eni [5] – a causa della precarietà politica della Libia – non estrae il petrolio e il gas di cui avrebbe bisogno.

[di Salvatore Toscano]