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Gerusalemme: non si fermano le violenze israeliane alla spianata delle moschee

Gerusalemme è stata teatro dell’ennesimo scontro tra palestinesi e forze di polizia israeliane: nello specifico, le violenze si sono consumate dopo l’ingresso delle autorità israeliane nel complesso della moschea di al Aqsa. Il bilancio è di più di 150 persone ferite: sarebbe potuto essere più alto visto che all’interno del luogo di culto erano presenti molti fedeli, riuniti per la preghiera. I video diffusi da chi era presente mostrano palestinesi intenti a lanciare sassi e la polizia che spara gas lacrimogeni e granate. In altre immagini si vedono fedeli barricati nella moschea, in attesa dei soccorsi che, secondo alcune associazioni umanitarie, sono stati ostacolati proprio dalle autorità israeliane. La polizia ha giustificato il suo assalto parlando di un atto necessario per “disperdere una folla violenta rimasta nella moschea alla fine delle preghiere mattutine”.

 

La moschea di al Aqsa è considerata la più importante di Gerusalemme, terza solo a Medina e la Mecca. Il Corano dice che dal suo perimetro partì il “viaggio notturno” di Maometto, cioè quel miracoloso tragitto attraverso cui il profeta, attraversando l’aldilà, riuscì ad incontrare Allah, ricevendo da lui tutti gli insegnamenti sul testo sacro.

Questa striscia di terra è spesso luogo di scontro e rivendicazioni anche per un altro motivo. Poco distante dalla moschea di al Aqsa, si trova anche il Muro del Pianto, cioè quello che gli ebrei reputano l’unico resto del Tempio di Salomone (che era stato distrutto dai Romani nell’assalto a Gerusalemme del 70 d.C.). Poco più in là c’è anche la Basilica del Santo Sepolcro, luogo di culto cristiano (dove cioè si pensa che Gesù Cristo sia stato seppellito prima di risorgere).

 

C’è il timore che nei prossimi giorni possano susseguirsi ulteriori attacchi di questo tipo, soprattutto perché quest’anno, dopo dieci anni, le festività religiose di tre diversi culti, si sono sovrapposte: Pasqua cristiana, Pasqua ebraica e Ramadan.

Oltre a questa coincidenza, nelle scorse settimane si erano già susseguiti alcuni episodi di terrorismo [9] compiuti dai palestinesi ai danni di Israele (almeno due sono stati però portati a termine da persone di origine palestinese ma con la cittadinanza israeliana). Ricordiamo, ad esempio, quello del 22 marzo a Be’er Sheva, a sud del paese, dove un uomo ha ferito a morte con un coltello un ciclista e tre clienti di un centro commerciale. Poi quello di Hadera, avvenuto cinque giorni: due uomini hanno esploso diversi colpi contro due poliziotti israeliani, ammazzandoli. Gli attentati hanno costituito un ottimo pretesto per mettere in atto una dura repressione [10] nei confronti del popolo palestinese, anche se l’impressione è che le forze israeliane stiano “colpendo nel mucchio”, più che avere un’idea precisa della provenienza degli attentati.

Il Governo del primo ministro israeliano Naftali Bennett ha infatti consigliato alle persone in possesso di armi proprie, di muoversi armate. Gli attacchi potrebbero non essere avvenuti per caso. In quei giorni, infatti, si celebrava per la Palestina una data importante: il Giorno della Terra, in memoria delle proteste di massa del 1976 contro una legge israeliana sulle espropriazioni di terreni agricoli in Cisgiordania.

Qui, in funzione preventiva, Bennett ha aumentato il numero di militari, di fatto presenti su un territorio che Israele occupa illegalmente dal 1967. “Frammentazione territoriale, segregazione e controllo, espropriazione dei terreni e delle proprietà dei palestinesi e negazione dei diritti economici e sociali”: è così che Amnesty ha scritto in merito alla condizione a cui la Palestina è sottoposta da Israele. Di fatto, come riporta l’ente, “un’apartheid”. Ricordiamo inoltre che la Corte penale internazionale (CPI) ha aperto un’indagine sui crimini di guerra [11] commessi da Israele nella Palestina occupata.

Una situazione che, visto il periodo storico in corso, in cui l’attenzione mediatica e dei governi del mondo è rivolta altrove [12], potrebbe di proposito aggravarsi ulteriormente.

[di Gloria Ferrari]