- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

La Francia si ritira dal Mali: doveva sconfiggere il terrorismo, si è fatta odiare

Nella giornata di ieri, 17 febbraio, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro delle truppe francesi dal Mali. Oltre alle truppe francesi, verranno ritirate dal Mali anche quelle degli altri paesi europei impegnati nella task force Takuba. L’annuncio del presidente francese non sorprende, alla luce delle recenti tensioni tra Parigi e la giunta militare che, a seguito del colpo di stato del 2020, governa il paese. Il 31 gennaio infatti, i militari maliani avevano “invitato”, con 72 ore di preavviso, l’ambasciatore francese a lasciare il paese. La decisione era giunta a furor di popolo [1], al culmine di settimane di mobilitazioni oceaniche contro l’ex colonizzatore con il quale evidentemente i cittadini maliani non vogliono aver più nulla a che fare.

Anche la decisione della giunta, di rimandare al 2025, le elezioni in Mali inizialmente previste per il febbraio 2022 non era stata ben accolta a Parigi. Probabilmente il “colpo di grazia” nei rapporti tra Francia e Mali è stata la decisione della giunta di dispiegare nel paese i mercenari russi del gruppo Wagner. La presenza russa in Mali, è stata infatti sin da subito fortemente condannata da Parigi e da gli altri paesi europei, definendola come incompatibile con la presenza delle loro truppe.

Le truppe francesi erano in Mali dal 2013. Inizialmente su richiesta del governo locale, che si rivolse a Parigi, per contrastare i ribelli Tuareg e i gruppi armati legati ad al-Qaeda che, dopo aver conquistato le regioni del nord, stavano marciando sulla capitale Bamako. La prima risposta francese fu tramite l’Operazione Serval, un contingente di 1700 soldati che, con l’aiuto di militari provenienti dal vicino Ciad, riuscì a fermare i ribelli. La Francia poi con il supporto di altri paesi decise quindi di ampliare l’intervento militare dando il via all’operazione Barkhane [5]. Composta da oltre 5.000 soldati, Barkhane aveva il compito di riportare stabilità non solo in Mali ma in tutta la regione del Sahel [6]. Agli sforzi francesi in Mali si unirono anche le Nazioni Unite con l’operazione MINUSMA e l’invio di oltre 12.000 caschi blu. Nel 2015, il governo del Mali siglò un accordo di pace con i ribelli tuareg che però non fu mai pienamente implementato. Negli anni nel paese si è assistito alla progressiva crescita dei gruppi fondamentalisti, sono stati diversi in questi anni gli attacchi in Mali da parte di organizzazioni terroristiche legate allo Stato Islamico e ad Al Qaeda. Nel 2015 due diversi attacchi terroristici nella capitale Bamako causarono la morte di 25 persone. Nel 2017, una bomba a Gao ne uccise 77 ferendone 120. Per contrastare i gruppi fondamentalisti venne quindi creata, sempre nel 2017, la task force G5 Sahel [7] formata da 5.000 soldati, provenienti dai paesi della regione, Mali, Mauritania, Niger, Chad e Burkina Faso.

Nonostante la presenza massiccia di truppe, tuttavia, le potenze europee e internazionali hanno avuto scarso successo nella regione. Non dimostrandosi in grado di limitare insicurezza e terrorismo. Alimentando il risentimento popolare questa architettura militare è stata, anzi, di fatto una concausa della proliferazione delle attività ribelli, che hanno poi causato nella regione migliaia di vittime e oltre due milioni di sfollati. Ci sono state diverse mancanze anche dal punto di vista della tutela dei diritti umani. Come nel caso della task force G5 Sahel, i cui soldati sono stati accusati in diverse occasioni di massacri di civili in Burkina Faso, Niger e Mali. Questi dieci anni di operazioni militari, con scarsi risultati, hanno portato ad un progressivo aumento del malcontento popolare e della sfiducia nella presenza europea, in particolare quella francese anche alla luce del suo passato coloniale. Non dovrebbe quindi sorprendere che nelle ultime settimane sia in Mali che in Burkina Faso ci siano state diverse manifestazioni antifrancesi. Considerando i numeri di certe manifestazioni, sembrerebbe evidente come in questi due paesi la volontà dei cittadini sia quella di sostituire il tricolore francese con quello russo. Il ritiro delle truppe dal Mali non significa però che Francia e Europa abbiano deciso di abbandonare al suo destino il Sahel. Il presidente transalpino Macron ha infatti confermato che il sostegno alla missione delle Nazioni Unite continuerà, mentre i soldati francesi probabilmente andranno a finire in qualche altro paese della regione, forse il Niger. Riportare stabilita nel Sahel resta comunque uno dei principali obiettivi di politica estera per l’Europa, sia per quanto riguarda il contenimento del fondamentalismo, sia per quando concerne immigrazione e tratta di esseri umani.

Rimane però un problema oggettivo, negli ultimi anni, le varie operazioni militari in cui l’occidente è stato coinvolto in giro per il mondo si sono concluse con sostanziali sconfitte, andando spesso a causare più danni di quelli che avrebbero dovuto risolvere. Inoltre gli interventi militari occidentali hanno spesso finito nel sovrapporre i propri interessi di sicurezza esterni rispetto a quelli regionali. Afghanistan e Libia sono i due casi emblematici, nel primo dopo 20 anni di guerra ci si trova con di nuovo i talebani al potere, mentre il secondo resta nella medesima condizione di simil-anarchia in cui era stato fatto precipitare con la rimozione di Gheddafi. A situazioni complesse che hanno radici lontane, spesso riconducibili ai confini ridisegnati a tavolino con un righello oltre un secolo prima, l’occidente ha spesso risposto preferendo la via militare a quella diplomatica. Senza dubbio in Mali è mancata la volontà politica di anteporre i bisogni locali ai propri interessi politici, per Parigi infatti la presenza russa non era una tanto un problema logistico-militare ma piuttosto una questione legata alla sfera d’influenza. Allo stesso modo si possono valutare le relazioni sempre tese tra la Francia e la giunta militare, che salendo al potere in Mali aveva rovesciato “l’uomo” di Parigi, ossia l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita.

[di Enrico Phelipon]