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Mapuche, gli indigeni che lo Stato argentino non vuole fra i piedi

Quale destino spetta al popolo Mapuche [1]? Stando alle parole di Alberto Fernàndez, presidente dell’Argentina dal 10 dicembre 2019, «Nei due anni che restano darò tutto me stesso affinché a ogni persona sia garantito un modo degno di vivere». Frasi però pronunciate prima del disastroso risultato elettorale che ha visto Fernàndez subire una pesante sconfitta nelle elezioni politiche di medio termine. Questo significa che la coalizione del presidente (Frente de todos), dovrebbe passare al senato da 41 rappresentanti a 35 (su un totale di 72). Per il presidente lo scenario futuro non è dei migliori e gli ultimi due anni prima della scadenza definitiva del mandato potrebbero essere più complicati del previsto. E non comprendere la salvaguardia degli indigeni.

I mezzi per farlo ci sarebbero: esiste una legge, la 26.160, approvata per la prima volta nel 2006 durante la presidenza di Néstor Kirchner e già prorogata per tre volte, che proibisce lo sgombero forzato di una determinata comunità fin quando non sia dimostrato che quelle terre gli appartengano o meno di diritto. Impedire il rinnovo della normativa significherebbe semplificare le pratiche di “pulizia etnica”, in favore delle grandi multinazionali. Il potere, ora, è nelle mani della Camera dei deputati che entro il 23 novembre dovrebbe votarne il rinnovo, mentre il 28 ottobre il Senato ha già dato il suo assenso. Se così non fosse, i Mapuche avrebbero ancora meno garanzie e protezione, anche se, fino ad ora, di certo non è stata sufficiente una legge per fermare massacri ed espropriazioni. Nel 2019, ad esempio, “il rilevamento tecnico, giuridico e catastale delle loro terre era stato avviato solo per 745 delle circa 1.760 comunità originarie [2]”.

In generale i Mapuche non hanno mai goduto del sostegno [3] e dell’approvazione del governo e del resto della popolazione, diventando spesso il capro espiatorio di disastri ambientali e incidenti di diverso tipo. Di recente sono stati accusati di aver appiccato degli incendi nelle città di El Bolsón e Bariloche, nel Río Negro, con lo scopo di intaccare gli averi di un grosso magnate. La comunità si è però dichiarata estranea ai fatti e disposta a collaborare per fare chiarezza sull’accaduto. Sforzi vanificati dall’aggressiva campagna di comunicazione fatta dai media e dagli stessi esponenti politici, che, approfittando del contesto, hanno contribuito ad alimentare quello che viene definito “terrorismo mapuche”. Manna dal cielo per imprenditori e multinazionali, ringalluzziti dall’ordine emesso dalla governatrice del Río Negro Arabela Carreras: sgomberare con la forza [4], a partire dal 1 ottobre, la comunità mapuche Quequemtrew, “impegnata in un processo di recupero delle sue terre ancestrali [2] nella zona di Cuesta del Ternero, e di tenerla isolata impedendo persino l’arrivo degli alimenti”.

Il nome Mapuche significa “gente della terra”, appellativo attribuitogli proprio per la lotta che questi gruppi portano avanti principalmente contro lo Stato cileno e quello argentino [5], in difesa delle terre rimastegli e quelle sottratte. Garantire loro sopravvivenza e protezione significa impedire agli interessi economici di penetrare in zone che l’uomo non ha ancora “macchiato”. Ma bisognerà aspettare il 23 novembre per capire fino a che punto possiamo arrivare.

[di Gloria Ferrari]