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Un rapporto fa luce sui legami tra Leonardo SPA e il genocidio israeliano a Gaza

Un nuovo dossier pubblicato da BDS Italia, dal titolo Piovono euro sull’industria
“necessaria” di Crosetto e Leonardo S.p.A. Le relazioni con Israele
, riaccende i riflettori sui rapporti tra Leonardo S.p.A.  la principale azienda italiana della difesa, partecipata dallo Stato e l’apparato militare israeliano. Secondo l’inchiesta, il gruppo guidato da Roberto Cingolani, attraverso filiali, joint-venture e forniture dirette, avrebbe continuato a fornire tecnologie, componenti e sistemi d’arma all’esercito di Tel Aviv anche dopo l’inizio dell’offensiva post 7 ottobre 2023 nella Striscia di Gaza. Dalla fornitura di cannoni navali OTO Melara ai radar israeliani RADA, fino ai jet M-346 “Lavi”, le connessioni tra Leonardo e la macchina militare israeliana emergono in modo dettagliato nel documento. L’azienda ha sempre respinto le accuse, ma le prove raccolte nel dossier delineano una rete di rapporti economici e militari difficilmente compatibile con i princìpi della legge italiana sull’export di armi e con gli impegni internazionali in materia di diritti umani.

L’industria della guerra travestita da tecnologia

Un cannone navale OTO Melara 76/62 Super Rapid

Il rapporto [1] a cura di Rossana De Simone pubblicato da BDS Italia (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), ricostruisce in modo dettagliato un mosaico di contratti, acquisizioni e forniture che collegano Leonardo alle forze armate di Israele. Tra gli esempi più citati figura la fornitura dei cannoni navali OTO 76/62 Super Rapid, prodotti da OTO Melara, società interamente controllata da Leonardo, e montati sulle corvette Sa’ar 6 della marina israeliana. Tali navi hanno preso parte ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza nel corso delle offensive del 2023 e del 2024. Un altro punto cruciale riguarda l’acquisizione, avvenuta nel 2022, della israeliana RADA Electronic Industries tramite la controllata statunitense Leonardo DRS. RADA è specializzata in radar e sistemi di difesa attiva per veicoli corazzati – come l’“Iron Fist” – utilizzati dall’esercito israeliano nelle incursioni via terra a Gaza. Il dossier sottolinea che tale partecipazione non è meramente indiretta: Leonardo ne detiene il controllo operativo, beneficiando dei contratti stipulati con il Ministero della Difesa israeliano. BDS Italia ricorda, inoltre, che Leonardo figura tra i fornitori del jet M-346 “Lavi” dell’aeronautica israeliana, impiegato in versioni d’attacco leggere.

Come il governo elude la legge 185/90

Secondo il rapporto, la cooperazione tra Roma e Tel Aviv non si è fermata al 7 ottobre 2023: la legge italiana 185/90, che vieta l’export di armamenti verso Paesi in conflitto o che violano i diritti umani, viene elusa grazie alla struttura multinazionale dell’azienda, che opera attraverso società con sede in Stati Uniti, Israele e Regno Unito, dove le restrizioni italiane non si applicano pienamente. Il 17 luglio, dopo un bilancio devastante a Gaza, PD, M5S e AVS hanno presentato una mozione per sospendere il Memorandum militare con Israele. La maggioranza ha difeso l’accordo per motivi economici, occupazionali e strategici, sostenendo che isolare Israele non aiuterebbe a risolvere la crisi politica. La mozione è stata respinta, come molte altre risoluzioni europee e internazionali sul tema.

Profitti di guerra e caduta in Borsa

Il contesto finanziario rafforza l’immagine di un’azienda che prospera in tempo di guerra. Per due anni di fila (2023 [2] e 2024 [3]), l’azienda ha infatti registrato profitti da record, superando di molto le previsioni degli analisti. Nel febbraio 2025, Leonardo ha chiuso l’anno precedente con utili [4] record pari a 17,8 miliardi di euro, un incremento attribuito anche al protrarsi dei conflitti in Medio Oriente. La domanda globale di armamenti – in particolare droni, radar e sistemi di artiglieria – era esplosa proprio durante l’offensiva israeliana su Gaza. La dinamica inversa si è verificata nell’ottobre 2025, quando l’annuncio di una tregua temporanea tra Israele e Hamas ha provocato un improvviso crollo del titolo in Borsa. Le azioni di Leonardo hanno perso valore in poche ore, calando a 55,48 il 9 ottobre, data di annuncio dell’accordo, e a 52,90 il 10 ottobre, giorno della ratifica, segno evidente di quanto la redditività dell’azienda sia legata al perdurare delle ostilità. Questa correlazione diretta tra guerra e profitto pone interrogativi etici sulla sostenibilità di un modello industriale che trae beneficio dalla violenza e dal disastro umanitario.

Le dichiarazioni contradditorie di Cingolani

Il CEO di Leonardo, Roberto Cingolani

Intervistato da Federico Fubini per il Corriere della Sera [5] il 30 settembre 2025, l’amministratore delegato Roberto Cingolani ha negato qualsiasi coinvolgimento diretto di Leonardo nelle operazioni militari israeliane, affermando che «non vendiamo armi a Paesi in guerra» e definendo «un’esagerazione inaccettabile» parlare di corresponsabilità nel genocidio di Gaza, legata alla partecipazione dell’azienda ai consorzi che producono gli F-35 usati anche da Israele. Ha poi precisato che i radar militari sono venduti dalla DRS Technologies, soggetta alle decisioni del governo USA e che, dall’inizio del conflitto, non sono state più autorizzate esportazioni verso Israele. La sua difesa si è concentrata sulla distinzione tra nuove licenze d’esportazione e contratti preesistenti, sostenendo che l’azienda rispetta la legge 185/90. Pochi giorni dopo, Altreconomia [6] ha smontato punto per punto le dichiarazioni di Cingolani, dimostrando come Leonardo continui di fatto a fornire sistemi militari a Israele attraverso le proprie controllate estere. L’inchiesta ha documentato che la linea ufficiale dell’azienda – «non esportiamo verso Israele» – è smentita dai flussi industriali e dalle partecipazioni societarie. Di fatto, i componenti prodotti da Leonardo e le tecnologie condivise con RADA e DRS vengono integrati nelle forniture israeliane, consentendo all’azienda italiana di mantenere la propria presenza nel mercato bellico anche in pieno conflitto.

Lo Stato azionista e la responsabilità politica

Lo Stato italiano, azionista di maggioranza relativa con circa il 30% del capitale di Leonardo, si trova al centro di un evidente conflitto d’interessi. Da un lato promuove una linea diplomatica formalmente orientata alla pace e al rispetto del diritto internazionale; dall’altro, trae benefici finanziari dalle performance di un’azienda che rifornisce un esercito accusato di crimini di guerra. Il dossier di BDS Italia insiste su questo punto, sostenendo che la responsabilità dello Stato non è solo morale ma anche materiale, poiché parte dei profitti derivanti dal conflitto rientrano nelle casse pubbliche sotto forma di dividendi. Le norme italiane sull’export di armamenti appaiono insufficienti a garantire un controllo reale. La legge 185/90 prevede che le forniture vengano bloccate in presenza di conflitti armati o di violazioni sistematiche dei diritti umani, ma prevede anche eccezioni per contratti firmati in precedenza o per operazioni indirette attraverso società controllate all’estero. È proprio in questa “zona grigia” che, secondo il dossier, Leonardo si muove con abilità, sfruttando la complessità delle proprie catene di produzione per aggirare i vincoli.

Le prove di complicità industriale

La Relatrice speciale ONU Francesca Albanese

Le evidenze raccolte nel rapporto di BDS Italia convergono su un punto: Leonardo non è un attore esterno al conflitto, ma un ingranaggio integrato nella macchina militare israeliana. I cannoni OTO Melara, i radar RADA e i jet M-346 “Lavi” non sono meri prodotti di catalogo, ma strumenti impiegati nei bombardamenti e nelle incursioni a Gaza. Il dossier cita fonti israeliane e internazionali – tra cui Who Profits e il rapporto della relatrice speciale ONU Francesca Albanese – per dimostrare che le tecnologie di Leonardo contribuiscono concretamente all’azione militare israeliana. Il rapporto [7] Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, presentato il 30 giugno da Francesca Albanese, ha presentato un duro atto d’accusa contro Israele e le aziende coinvolte nel sostegno militare e finanziario all’assalto di Gaza. Il documento denuncia la complicità del settore privato globale, dalle big tech alle industrie belliche, nell’economia del genocidio, mentre la spesa militare israeliana è cresciuta del 65% in un anno. Per il suo lavoro, Albanese è stata attaccata e sanzionata dagli Stati Uniti. Il documento stilato da BDS Italia aggiunge nuovi tasselli a quel reporto, mostrando come la catena di fornitura di Leonardo attraversa filiali e partner industriali in Stati Uniti, Regno Unito e Israele, rendendo difficile applicare sanzioni o blocchi alle esportazioni. In sostanza, l’azienda italiana ha costruito una rete internazionale che le consente di mantenere attivi i flussi commerciali anche in presenza di divieti formali.

La crisi della trasparenza e il silenzio istituzionale

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito “propaganda” le campagne di boicottaggio e le richieste di embargo militare, riaffermando la necessità di “sostenere le imprese strategiche nazionali”.

Mentre BDS Italia e varie organizzazioni per i diritti umani chiedono chiarezza, Leonardo ha scelto la via del silenzio. Alla richiesta di commento inviata da Business & Human Rights Resource Centre, l’azienda non ha fornito risposta. Né il governo italiano ha finora chiarito la propria posizione rispetto alle accuse contenute nel dossier. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito “propaganda” le campagne di boicottaggio e le richieste di embargo militare, riaffermando la necessità di “sostenere le imprese strategiche nazionali”. Questa difesa istituzionale si inserisce in un quadro più ampio in cui l’industria militare italiana viene presentata come volano economico, nonostante i suoi legami con teatri di guerra e violazioni dei diritti umani. La stessa Leonardo, del resto, si promuove come “leader europeo nella difesa etica e sostenibile”, una formula che stride con la realtà documentata dal dossier BDS.

Diritto, economia e morale: le domande inevase

Il caso Leonardo riporta al centro un nodo irrisolto della politica industriale italiana: può un’azienda controllata dallo Stato generare profitti dalla guerra senza che lo Stato stesso ne sia corresponsabile? La risposta non è solo giuridica, ma etica. Finché il governo continuerà a giustificare l’espansione militare come opportunità economica, il confine tra difesa e complicità rimarrà labile. La legge 185/90, pur avanzata per l’epoca, appare oggi inadeguata a regolamentare un’industria globalizzata che agisce tramite controllate e partnership transnazionali. Le autorità italiane non possono ignorare che il controllo effettivo su Leonardo implica anche una responsabilità sulle sue scelte commerciali e produttive.

Conclusione

Il dossier di BDS Italia non è una denuncia isolata, ma un atto d’accusa documentato, che incrocia dati industriali, bilanci e fonti ufficiali. Mentre Leonardo parla di “difesa etica”, le sue forniture finiscono – direttamente o attraverso controllate estere – nel cuore della macchina bellica israeliana. Il 15 luglio 2025 i ministri degli Esteri dell’Unione europea, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di non sospendere l’accordo di associazione con Israele sebbene si sia rilevato che continua a violare i suoi obblighi, in materia di diritti umani, ai sensi dell’accordo di associazione. È dall’inizio della guerra che l’Europa si rifiuta di fermare la strage di civili a Gaza, le violenze e sfollamenti da parte dei coloni e dell’esercito israeliano, ma la sua complicità si mostra con maggiore cinismo quando assicura che non finanzia progetti che colpiscono Gaza. L’immagine che ne emerge è quella di un’azienda a controllo pubblico che prospera mentre a Gaza si consuma una catastrofe umanitaria.

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Enrica Perucchietti

Laureata con lode in Filosofia, vive e lavora a Torino come giornalista, scrittrice ed editor. Collabora con diverse testate e canali di informazione indipendente. È autrice di numerosi saggi di successo. Per L’Indipendente cura la rubrica Anti fakenews.