Il governo ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la legge siciliana che obbligava gli ospedali pubblici ad assumere medici non obiettori di coscienza per garantire il diritto all’aborto ai propri pazienti. La legge era stata approvata lo scorso giugno, e imponeva agli ospedali di indire concorsi per assumere medici non obiettori nonché di provvedere alla loro sostituzione nel caso in cui avessero deciso di diventare tali in un secondo momento. Secondo l’esecutivo, la norma violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile, nonché «i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso».
L’annuncio di impugnazione [1] della legge siciliana da parte del governo è arrivato il 4 agosto. La legge siciliana [2] prevede che i reparti di ostetricia e ginecologia degli ospedali della regione si dotino di aree dedicate alla pratica, laddove non siano già presenti; entro metà settembre, l’assessore regionale per la salute dovrebbe fornire indicazioni sul funzionamento e l’organizzazione di tali aree. La norma stabilisce infine che esse siano sempre dotate di personale non obiettore di coscienza, e che vengano istituiti concorsi appositi per la loro assunzione. Il governo ha contestato alla norma la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che stabilisce che lo Stato ha “legislazione esclusiva” in materia di “ordinamento civile”; contestati anche gli articoli 2, 3, 19, 21, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. Secondo il governo, insomma, la legge siciliana minerebbe: “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; il principio di uguaglianza; il diritto di professare la propria fede religiosa; la libertà di opinione, e precisamente la libertà di esercitare il diritto di obiezione; la libertà di accesso agli uffici pubblici. Violerebbe, infine, il funzionamento dei concorsi pubblici. Secondo il governo, insomma, la legge fornirebbe una via di accesso privilegiato ai medici non obiettori.
Il diritto all’aborto [3] in Italia è stato introdotto dalla legge 194 del 1978. Sebbene esso sia garantito, in Italia i medici obiettori di coscienza sono la maggioranza, e le strutture che offrono il servizio sono poche. I dati a disposizione sul tema sono ridotti: l’ultima relazione [4] sull’attuazione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è stata pubblicata a fine 2023 con i dati definitivi del 2021. Essa riferisce che in quell’anno, in Italia, 335 sedi ospedaliere su 562 dotate di un reparto di ostetricia (o ginecologia) garantivano l’accesso all’aborto, pari al 59,6% del totale; sempre su scala nazionale, la relazione illustra inoltre che il numero di obiettori è pari al 63,4% dei ginecologi, al 40,5% degli anestetisti e al 32,8% del personale non medico. In Sicilia l’accesso al servizio è molto più complicato: dei 56 ospedali dotati di un reparto di ostetricia o ginecologia, solo la metà garantisce l’IVG. Il tasso di obiettori, invece, risulta essere dell’85% tra i ginecologi, del 69,8% tra gli anestetisti e del 71,5% tra il personale non medico.