Cortina di ferro è il nome che si usava durante la guerra fredda per chiamare il confine invalicabile, ideologico oltreché fisico, che separava l’Europa occidentale da quella posta sotto l’influenza sovietica. La linea lungo la quale per quasi mezzo secolo – dal 1947 al 1991 – eserciti super militarizzati si sono fronteggiati a suon di esercitazioni, voli di caccia lungo i confini e minacce nucleari. Un’era geopolitica che sta tornando a materializzarsi quantomeno in quelle nazioni di confine che si stanno ergendo a baluardo contro la «minaccia russa». Dalla Finlandia a nord, passando per gli Stati Baltici — Lettonia, Lituania ed Estonia — fino alla Polonia, si va consolidando un confine percepito come un fronte di guerra. Fino all’ultima decisione, ratificata in questi giorni: il ritiro dei Paesi baltici dal trattati che vietano le mine antiuomo e il parallelo lancio del progetto per dispiegare questi ordigni – su cui molti Paesi al mondo si erano accordati sul divieto perché in grado di far saltare in aria civili che li calpestino accidentalmente anche a decine di anni di distanza – lungo il proprio confine. Anche a questo servirà l’aumento delle spese militari nei Paesi NATO al 5% del PIL trionfalmente sancito [1] all’ultimo Vertice dell’Aia.
La presenza NATO nell’Est Europa si è rafforzata nel corso dell’ultimo decennio. Cinque Paesi — Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia — stanno ora preparando piani per minare e sbarrare i loro confini con Russia e Bielorussia. Non è un caso che Steadfast Defender 2024 [2], la più grande esercitazione NATO dal 1988, sia stata condotta lo scorso anno nel Nord e nell’Est dell’Europa, in gran parte proprio in questi cinque Paesi. Nel gennaio 2024, i ministri della Difesa di Lettonia, Lituania ed Estonia hanno approvato [3] l’iniziativa della “Linea di difesa del Baltico“, volta a rafforzare la protezione del confine orientale dei Paesi baltici e della NATO. La costruzione della “linea” è strettamente coordinata ma viene finanziata separatamente da ciascun Paese partecipante. La fortificazione dei confini prevede il posizionamento di cubi, lastre e croci di cemento per respingere o rallentare l’avanzata di mezzi nemici, oltre al minamento di campi e ponti come sbarramento difensivo. Sono inoltre previste nuove infrastrutture, tra cui depositi, tunnel e bunker. L’iniziativa è perfettamente in linea con i piani di difesa della NATO.
E non è un caso, evidentemente, che tutti e cinque i Paesi si siano ritirati dalla Convenzione sulle mine antiuomo. Giovedì scorso, il Parlamento finlandese ha votato [4] con una maggioranza schiacciante l’uscita dal Trattato di Ottawa. La Polonia e i Paesi baltici, come riportato [5] da Reuters lo scorso marzo, avevano già annunciato l’intenzione di ritirarsi attraverso una dichiarazione congiunta in cui si faceva riferimento alla minaccia russa. Se Lettonia e Lituania hanno già proceduto, la Polonia, attraverso il proprio Parlamento, ha deciso [6] il 26 giugno, di abbandonare ufficialmente il Trattato di Ottawa. Quest’ultimo, risalente al 1997, è rappresentato dalla «Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione», ovvero la convenzione per la messa al bando delle mine. Vi aderiscono circa 150 Stati, mentre una trentina ne rimangono fuori, tra cui Cina, Russia e Stati Uniti.
Nel maggio scorso, il governo lituano ha reso noto [7] di aver stanziato 1 miliardo di euro in 10 anni per il rafforzamento del confine con la Bielorussia e con l’exclave russa di Kaliningrad. Di questa somma, 800 milioni sono destinati all’acquisto e alla posa di mine lungo il confine, mentre la parte restante sarà utilizzata per potenziare le capacità in ambito di guerra elettronica e droni. Nel dicembre 2024, il Gabinetto dei Ministri lettone ha approvato [8] l’Integrated Border Management Plan 2024-2027, che mira a rafforzare la sicurezza nazionale in generale — sia quella alle frontiere sia quella interna — e a rimpatriare cittadini di Paesi terzi privi di una base giuridica per soggiornare in Lettonia o in altri Stati membri dell’Unione Europea.
East Shield («Scudo Orientale») è il programma [9] di difesa nazionale lanciato dal governo polacco per fortificare i confini orientali con la Bielorussia e con l’exclave russa di Kaliningrad. Si tratta di uno degli investimenti più significativi nella sicurezza nazionale e nella difesa delle frontiere nella storia della Polonia del dopoguerra. Il programma è stato annunciato nel maggio 2024 e prevede un investimento di 2,5 miliardi di euro in quattro anni. L’obiettivo è migliorare la prontezza militare e la sicurezza delle frontiere polacche attraverso una combinazione di moderni sistemi di sorveglianza, barriere fisiche e lo sviluppo di infrastrutture. La Finlandia, Paese membro della NATO dall’aprile 2023, ha incrementato sensibilmente il proprio budget per la spesa militare proprio in virtù dell’ingresso nell’Alleanza Atlantica. Sul suo confine [10] con la Russia, lungo circa 1.300 chilometri, si concentrano molte delle spese aggiuntive, dei programmi, delle esercitazioni e delle misure di prontezza operativa. Come riportato [11] dal The Guardian nel maggio scorso, il maggiore generale Sami Nurmi, capo della strategia delle forze di difesa finlandesi, ha dichiarato che i militari seguono le manovre di Mosca «molto da vicino» e che è loro compito, in quanto parte dell’alleanza NATO, «prepararsi al peggio». Intanto, sono già stati completati i primi 35 chilometri della recinzione di 200 che la Finlandia sta costruendo al confine russo.
I progetti come lo «Scudo Orientale» (East Shield) delineano una strategia di lungo termine per rafforzare le capacità difensive lungo il confine orientale della NATO. A Mosca, naturalmente, questa nuova cortina viene interpretata come un’escalation e come ulteriore prova dell’aggressività occidentale, alimentando un ciclo di ritorsioni e contromisure che mantiene alta la tensione nella regione. Le sfide sono immense: dalla gestione del rischio di incidenti potenzialmente degenerativi, alla necessità di preservare la coesione politica ed economica sia all’interno che all’esterno dei Paesi europei, fino all’impatto concreto sulla vita quotidiana delle popolazioni.