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Il decreto Caivano sta riempiendo di nuovi detenuti le carceri minorili

Dopo le vicende di cronaca aventi come oggetto gli stupri di due bambine nel comune di Caivano (Napoli), il governo Meloni ha elaborato quello che è stato poi soprannominato “decreto legge Caivano” [1], contenente “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”. L’obiettivo esplicitamente dichiarato dal governo era inasprire le pene contro i giovani che delinquono, con iniziative volte a rendere più facile l’accesso al carcere dei minori. Sei mesi dopo, gli effetti del decreto sono già evidenti: all’inizio del 2024 sono già 500 i detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) italiani, numero che non veniva raggiunto da oltre 10 anni. Solo un anno fa erano 340, 243 nel gennaio 2022. A lanciare l’allarme è l’associazione per i diritti dei detenuti Antigone che, nel presentare il VII rapporto sulla giustizia minorile in Italia, Prospettive minori, spiega come aumentare il ricorso alle misure cautelari (a scapito di progettidi rieducazione) sia una politica in assoluto “perdente”, quando non addirittura controproducente.

Il numero dei detenuti negli IPM è drasticamente cresciuto negli ultimi anni, passando dagli 835 del 2021 ai 1143 del 2023. Si tratta della cifra più alta degli ultimi 15 anni. Il tutto, a fronte di un numero di reati sostanzialmente stabile (il dato attuale è in linea con quello di 10 anni fa). Il merito, secondo Antigone, è tutto del decreto legge Caivano, che tra le altre cose ha aumentato del 37,4% gli ingressi per reati legati alle droghe in un solo anno – senza [2] che siano stati fatti investimenti sui servizi per la tossicodipendenza o sull’educazione nelle scuole. L’aumento degli ingressi negli IPM nell’ultimo anno è dovuto, per la stragrande maggioranza, all’impennata di misure cautelari. Questo avviene perchè dl Caivano imprime una “involuzione normativa” che favorisce un approccio repressivo piuttosto che rieducativo, mettendo così del tutto in secondo piano l’interesse superiore del minore. In aggiunta a ciò va evidenziato come il tasso di recidive sia direttamente proporzionale all’ingresso dei giovani negli istituti penali, numero che aumenta quando i ragazzi, raggiunti i 18 anni, vengono trasferiti negli istituti per adulti, interrompendo di fatto ogni percorso rieducativo – fino a prima dell’entrata in vigore del dl Caivano, i minori che compivano un reato potevano restare [3] negli IPM fino ai 25 anni.

Tra le principali novità introdotte dal decreto legge vi sono l’estensione del daspo urbano ai maggiori di 14 anni, l’aumento di un anno della durata del foglio di via, il potenziamento della facoltà di arresto in flagranza e la pena per il reato di spaccio anche di stupefacenti di lieve entità. A queste si aggiunge la possibilità del questore di vietare l’utilizzo del cellulare ai soggetti di età superiore ai 14 anni, la reintroduzione della custodia cautelare per i minorenni imputati che tentano la fuga o anche in via precauzionale, perchè potrebbero fuggire, e viene introdotta una nuova fattispecie di reato che prevede il carcere fino a due anni per i genitori che non mandano a scuola i figli in età di obbligo scolastico – misura dagli effetti controproducenti, perchè sottrae al minore la figura di riferimento.

“Il modello della giustizia minorile in Italia, fin dal 1988, data in cui entrò in vigore un procedimento penale specifico per i minorenni, è sempre stato un vanto per il Paese. Mettendo al centro il recupero dei ragazzi, in un’età cruciale per il loro sviluppo, nella quale educare è preferibile al punire, ha garantito tassi di detenzione sempre molto bassi, una preferenza per misure alternative alla detenzione in carcere, come ad esempio l‘affidamento alle comunità e ottenuto un’adesione al percorso risocializzante ampio da parte dei giovani. Dal decreto Caivano in poi, invece, il rischio che questi 35 anni di lavoro vengano cancellati e i ragazzi persi per strada è una prospettiva drammatica e attuale” commenta [4] Antigone. Per il presidente, Patrizio Gonnella, «le nuove norme hanno inteso rompere con una bella storia italiana, che era quella della residualizzazione della risposta detentiva nei confronti dei minori». Il numero medio dei detenuti negli IPM «non è mai stato preoccupante», fattore che ha sempre posto [5] l’Italia come «modello da seguire» all’estero. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, commenta [6] come «non stupisce» che molti giovani, spesso con un vissuto tragico alle spalle, «arrivino in carcere con dipendenze da alcol o da sostanze e con disturbi mentali. Si tratta di ragazzi che hanno bisogno di essere protetti, sostenuti e indirizzati. L’istituzione li tratta spesso invece come seccature da neutralizzare».

Di fatto, il dl Caivano sembra delinearsi come l’ennesima iniziativa emergenziale di questo governo, la cui politica è quella di risolvere con la criminalizzazione e la repressione tutti i problemi sociali – metodo più volte dimostratosi inefficace e dannoso. Quello che manca del tutto sembra essere la capacità di pensare e mettere in pratica iniziative strutturali davvero efficaci, volte a risolvere il disagio sociale e non a nasconderlo sotto al tappeto.

[di Valeria Casolaro]