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Il Veneto ha bocciato la legge che voleva dare diritto a regole certe per il fine vita

Ieri il Consiglio regionale del Veneto ha bocciato una legge [1] di iniziativa popolare che mirava a disciplinare le pratiche in materia del cosiddetto “fine vita” e che dunque intendeva normare una volta per tutte la questione del suicidio assistito. La proposta, avanzata dall’Associazione Luca Coscioni [2], si articolava in cinque punti, e non è passata per un solo voto: in sede di votazione si è infatti verificata una vera e propria spaccatura all’interno del centrodestra, che ha visto il Presidente leghista Zaia, favorevole alla legge, appoggiato dall’opposizione. È la prima volta che una regione italiana discute attivamente di una legge relativa all’eutanasia; a ora, infatti, la regolamentazione delle pratiche di fine vita sono nelle mani della magistratura, e in particolare sono garantite dalla sentenza 242/2019 [3] (nota anche come “sentenza Cappato”) della Corte Costituzionale. Se la legge fosse passata, l’iter di accesso alla morte assistita, comunque riservato a malati con “patologia irreversibile” e fonte di “sofferenze intollerabili”, sarebbe stato normato offrendo tempi certi, ma visto che è stato bloccato anche i malati terminali veneti dovranno continuare, come nelle altre regioni italiane, a fare affidamento sulla sola sentenza della Corte Costituzionale, continuando sovente a trovarsi stretti in un dedalo di burocrazie e opposizioni.

La legge discussa ieri in Consiglio regionale aveva raccolto più di novemila firme e dava una definizione netta alla pratica di fine vita. La proposta era divisa in cinque articoli, e si poggiava sulla sentenza della Corte Costituzionale emessa nel 2019 in occasione del noto “caso Cappato”. Il primo articolo chiariva che le condizioni di accesso alla pratica di suicidio assistito sarebbero state conformi a quelle “stabilite dalla rilevante normativa nazionale”; non essendo tuttavia esse ancora normate da una legge di respiro nazionale, lo stesso articolo 1 specificava che la Regione sarebbe stata tenuta a fondarsi sulla sentenza Cappato. Il secondo articolo prevedeva l’istituzione di una commissione medica multidisciplinare permanente che avrebbe dovuto operare presso le aziende sanitarie pubbliche con lo scopo di “effettuare le verifiche mediche relative alla sussistenza delle condizioni di accesso e alle migliori modalità di esecuzione del suicidio assistito”. Con il terzo articolo si delineavano meglio “le procedure e i tempi” che le varie strutture del sistema sanitario, comitati etici inclusi, avrebbero dovuto rispettare nel corretto svolgimento delle pratiche a esse affidate, risolvendo definitivamente le controversie in merito all’ordine delle procedure che sono sorte in vari casi di eutanasia, come quello di “Anna [4]”, una delle cinque persone ad avere avuto accesso all’eutanasia in Italia. Col quarto articolo si garantiva la gratuità del servizio e col quinto si dava conto dell’assenza di variazioni del bilancio regionale.

La votazione ha causato una vera e propria frattura all’interno del Consiglio, specialmente se si guarda il fronte del centrodestra. Il Presidente Zaia si è infatti mostrato fortemente a favore della proposta, ma non è stato appoggiato dai propri alleati di Fratelli d’Italia e Forza Italia, che hanno votato contro; gli esponenti della Lega si sono invece divisi a metà, tanto che in 16 hanno votato a favore, 12 si sono espressi contro e 2 si sono astenuti (ma le astensioni valevano di fatto come voto contrario). Zaia è stato però appoggiato dai consiglieri dell’opposizione, tutti meno una: curiosamente, ad affossare la proposta è stata proprio la veronese Anna Maria Bigon, esponente dell’area cattolica del PD, la quale ha deciso di astenersi. Il quadro politico che la discussione ha presentato, insomma, è piuttosto variegato e rende difficile presentare la questione in tali termini. Gli oppositori, oltre a sollevare dubbi di natura etica, paventavano la possibilità che si radicasse un fenomeno di “turismo della morte” in Regione, cosa che tuttavia difficilmente avrebbe potuto verificarsi, visto che secondo la stessa sentenza Cappato a oggi in vigore, il richiedente deve presentare istanza alla propria ASL di competenza.

Il Veneto sarebbe stata la prima regione italiana a introdurre una legge in materia di eutanasia, e dopo la giornata di ieri detiene il primato per essere stata la prima ad averla anche solo messa sul tavolo. A oggi il suicidio assistito non è infatti normato da alcuna legge, né locale, né tantomeno di respiro nazionale, ed è regolato dalla cosiddetta “sentenza Cappato”, che fornisce le basi per stabilire non quando esso sia attuabile, ma quando diventa punibile. L’iter odierno è piuttosto lungo: dopo avere ricevuto l’istanza da parte del richiedente, la ASL di competenza è tenuta a verificare che sussistano quattro requisiti specifici, che devono presentarsi tutti insieme; che la persona sia vigile e capace di prendere decisioni consapevolmente, che sia affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze intollerabili, e che sia dipendente da un trattamento di natura farmacologica. La proposta popolare prevedeva un tempo di 20 giorni per decidere, più 7 per dare esecuzione alla decisione. Non essendo però passata, i richiedenti in regione Veneto dovranno far fronte a tempi di attesa più lunghi, e soprattutto poggiarsi sulla sola sentenza della Corte di Cassazione.

[di Dario Lucisano]