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USA: presentata al Congresso una risoluzione bipartisan per revocare le accuse ad Assange

Il Congresso americano, con una risoluzione bipartisan ufficialmente presentata dal deputato repubblicano Paul Gosar, ha chiesto alle autorità USA di revocare tutte le accuse rivolte contro l’attivista Julian Assange. La risoluzione è stata trasversalmente co-sponsorizzata dai rappresentanti James McGovern, Thomas Massie, Marjorie Taylor Greene, Anna Paulina Luna, Eric Burlison, Jeff Duncan, Ilhan Omar e Clay Higgins. “Considerando che le normali attività giornalistiche, compreso l’ottenimento e la pubblicazione di informazioni, sono protette dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, come si legge nella risoluzione, i firmatari chiedono che le svariate e pesanti accuse rivolte ad Assange, concernenti la pubblicazione di documenti militari statunitensi classificati, siano definitivamente revocate. Assange sta affrontando 17 capi d’accusa e, qualora venisse estradato e processato negli USA, potrebbe essere condannato ad una pena di 175 anni di reclusione in un carcere di massima sicurezza.

Nella risoluzione – che giunge al Congresso dopo i numerosi sforzi compiuti quest’anno da esponenti del parlamento statunitense e di quello australiano – si ricorda [1] come, sul portale creato dal giornalista australiano, Wikileaks, nel 2010, sia stata pubblicata “una cache di centinaia di migliaia di informazioni, tra cui i rapporti di valutazione dei detenuti della Baia di Guantánamo, i cablogrammi del Dipartimento di Stato, i file sulle regole di ingaggio e altri rapporti militari degli Stati Uniti” e che “la divulgazione di queste informazioni ha promosso la trasparenza pubblica attraverso l’esposizione dell’assunzione di prostitute bambine da parte di appaltatori del Dipartimento della Difesa, degli incidenti di fuoco amico, delle violazioni dei diritti umani, delle uccisioni di civili e dell’uso della guerra psicologica da parte degli Stati Uniti”. Volgendo lo sguardo all’impatto che il caso potrebbe avere nel futuro, nel documento si afferma che “il successo dell’azione penale contro Assange ai sensi della legge sullo spionaggio” verrebbe a creare “un precedente che consentirebbe agli Stati Uniti di perseguire e imprigionare giornalisti per attività protette dal Primo Emendamento, tra cui l’ottenimento e la pubblicazione di informazioni, cosa che avviene regolarmente”. I deputati ricordano inoltre che “numerose organizzazioni e sostenitori dei diritti umani, della libertà di stampa e dei diritti alla privacy hanno rivelato il loro sincero e costante sostegno ad Assange”. In ultimo, nel testo si evidenzia che “la libertà di stampa del Primo Emendamento promuove la trasparenza pubblica ed è fondamentale per la Repubblica americana”, dunque “il Governo federale dovrebbe far cadere tutte le accuse contro Julian Assange e i tentativi di estradarlo”, permettendogli “di tornare a casa nella sua nativa Australia, se lo desidera”.

Le accuse ad Assange sono state mosse dall’amministrazione Trump in relazione alla pubblicazione su WikiLeaks, datata novembre 2010, dei cablogrammi [2] dell’analista dell’esercito americano Chelsea Manning, che hanno fatto luce su crimini di guerra di vario genere perpetrati dal governo statunitense nel campo di detenzione di Guantanamo Bay, a Cuba, in Iraq e in Afghanistan (incluso un video di 17 minuti divenuto celebre col nome di Collateral Murder). I documenti pubblicati da Assange contenevano inoltre informazioni in merito ai rapporti dei diplomatici americani con i leader mondiali, non esenti da opinioni personali anche piuttosto taglienti, e commenti su eventuali minacce nucleari e terroristiche.

Dal 2019, Assange si trova recluso nel carcere londinese di Belmarsh. In primo grado, nel gennaio 2021, il Tribunale inglese aveva negato l’estradizione del giornalista richiesta dagli Stati Uniti, ma nemmeno un anno dopo la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Il 21 aprile 2022 la Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Assange e, due mesi dopo, la ministra degli interni Priti Patel ha apposto [3] il suo timbro finale sulla decisione. L’anno scorso, molti tra i giornalisti e gli editori di testate americane ed europee che hanno collaborato con Assange alla pubblicazione di estratti dei documenti – The Guardian, The New York Times, Le Monde, Der Spiegel e El País – hanno scritto una lettera aperta per chiedere agli Stati Uniti di ritirare le accuse contro l’attivista australiano. Tre mesi fa, una delegazione di deputati australiani ha incontrato funzionari statunitensi chiedendo la libertà di Assange. Poi, a novembre, una dozzina di legislatori statunitensi hanno firmato una lettera inviata al presidente Biden per chiedere la fine del procedimento giudiziario contro il giornalista.

[di Stefano Baudino]