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Nuovi OGM: mezza Europa blocca la deregolamentazione (ma non l’Italia)

I ministri UE dell’Agricoltura non hanno raggiunto la maggioranza qualificata per dare il via libera alle nuove biotecnologie genomiche, ovvero, tutto quell’insieme di tecniche di modifica genetica di ultima generazione che la Commissione UE vorrebbe deregolamentare. Allo stato attuale queste tecniche sono infatti trattate alla pari degli OGM tradizionali, ma l’obiettivo dell’esecutivo UE è quello di cambiare [1] le cose e semplificare così le procedure di autorizzazione. Per il momento, però, circa la metà degli Stati Membri non si è detta d’accordo. A mettersi di traverso sono stati Austria, Croazia, Slovacchia, Ungheria, Germania, Bulgaria, Grecia, Polonia, Romania e Slovenia. L’Italia, dal canto suo, ha votato a favore, mantenendo la solita posizione allineata agli interessi delle grandi aziende. Il ministro dell’agricoltura Lollobrigida – ha commentato la Coalizione Italia Libera da OGM – “ha quindi preferito ancora una volta inseguire le sirene delle lobby agroindustriali, sementiere e agrochimiche, in spregio al principio di precauzione, ai diritti degli agricoltori e dei consumatori”.

Senza contare che il ministro ha poi del tutto ignorato l’importanza, sempre maggiore, del settore del biologico italiano, il quale rischia di essere compromesso proprio da tale deregolamentazione. Le principali perplessità espresse dagli Stati Membri contrari sono infatti relative al non poter garantire una separazione delle filiere biologiche da quelle OGM, così come all’impossibilità di limitare o vietare la coltivazione di OGM a livello nazionale. Un via libera senza limiti potrebbe inoltre portare ad un’ulteriore concentrazione del mercato in un pugno di multinazionali. Per l’approvazione era necessaria una maggioranza pari al 55% dei paesi membri e al 65% dei cittadini europei. Maggioranza per ora non raggiunta [2], ma che il processo di deregolamentazione venga effettivamente bloccato è tutt’altro che certo. Ad esempio, già il 22 dicembre, quando si terrà una nuova votazione, le cose potrebbero andare diversamente e i nuovi OGM vedere la luce. La proposta, se approvata, creerebbe due nuove categorie di colture geneticamente modificate, la prima considerata equivalente agli OGM convenzionali in termini normativi e la seconda soggetta a una regolamentazione più leggera rispetto a quella attualmente in vigore per le colture OGM di prima generazione.

Allo stato attuale, tutti gli organismi geneticamente modificati sono soggetti ad autorizzazione e, se presenti in determinati prodotti, devono essere sempre segnalati in etichetta. Tuttavia, non appena le nuove tecniche genomiche hanno fatto capolino, Bruxelles ha iniziato a lavorare ad un nuovo quadro normativo [3] che potrebbe non far valere più queste regole per i prodotti alimentari ottenuti con le biotecnologie di ultima generazione. Il principio secondo cui si punta a cambiare le regole è legato al fatto che i nuovi OGM, a differenza degli altri, sono prodotti mediante una tecnologia di editing genetico per cui i tratti delle colture vengono alterati senza che vi sia l’effettivo inserimento di geni estranei. Nel 2018, però fu proprio la Corte di Giustizia Europea a stabilìre che vecchi e nuovi OGM andavano normati ai sensi della medesima direttiva. La ragione, in particolare, andò a diverse associazioni francesi che avevano citato in giudizio il Ministero dell’Agricoltura d’Oltralpe il quale aveva autonomamente esentato i nuovi prodotti biotecnologici dalle regole vigenti. Ad ogni modo, le nuove tecniche transgeniche, o tecnologie di evoluzione assistita, rappresentano delle indubbie conquiste della scienza che, a detta dei legislatori europei, potrebbero contribuire alla sostenibilità delle produzioni alimentari, aumentando la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici e riducendo l’uso dei pesticidi. Tuttavia, il dibattito sulla loro effettiva sicurezza, specie in termini di impatto sociale e sulla biodiversità, è ancora vivo a livello scientifico. La diffusione di colture geneticamente modificate, poiché intimamente legate a impattanti pratiche agricole industriali, appare ad esempio in netto contrasto con la salvaguardia di un’agricoltura tradizionale a carattere estensivo. L’imposizione commerciale (e il sostegno politico) di varietà transgeniche minaccia quindi direttamente le pratiche agricole locali di sussistenza, nonché la diversità biologica ad esse legata.

Al contrario, le grandi aziende avrebbero solo che da guadagnare. Le principali del settore – quali Bayer, BASF, Syngenta e Corteva – hanno già presentato addirittura 139 richieste di brevetto [4] per le nuove tecniche di editing genomico sulle piante, allo scopo di acquisire la proprietà esclusiva di varietà vegetali geneticamente modificate per vent’anni e rivenderle agli agricoltori. In tutto ciò, il Belpaese ha già scelto da che parte stare. E lo ha fatto nonostante sia ormai leader dell’agricoltura biologica in Europa. Poco importa quindi se le colture biologiche potrebbero essere minacciate da un flusso genico incontrollato tra colture modificate e colture tradizionali. Già a giugno, la maggioranza ha ad esempio dato il via libera [5] alla sperimentazione in campo di organismi derivanti dalle tecnologie di evoluzione assistita. Una novità per l’Italia che, aderendo strettamente al principio di precauzione, ha per oltre vent’anni vietato sul proprio territorio sia la coltivazione che la sperimentazione di organismi geneticamente modificati.

[di Simone Valeri]