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Reato di tortura e identificazione della polizia: il Consiglio d’Europa pressa l’Italia

Il Consiglio d’Europa ha valutato le misure prese dall’Italia in seguito alle condanne inferte al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti umani per le torture consumatesi nel luglio 2001 al G8 di Genova. Preoccupati dal fatto che una serie di proposte di legge presentate alle Camere da parlamentari dei partiti della maggioranza puntano a smantellare il reato di tortura, i membri del Consiglio hanno invitato “caldamente” il governo Meloni a “garantire che qualsiasi eventuale modifica al reato di tortura sia conforme ai requisiti della Convenzione europea dei diritti umani e alla giurisprudenza della Cedu”. Messo alle strette, l’esecutivo italiano ha comunicato [1] all’Ue di “non avere alcuna intenzione” di abrogare il reato di tortura, in una comunicazione che va a smentire mesi di dichiarazioni e proposte in senso contrario di molti esponenti di maggioranza. Il Consiglio d’Europa è inoltre tornato a chiedere all’Italia di introdurre il codice identificativo per le forze dell’ordine, adeguandosi a quanto è già previsto in quasi tutti i Paesi europei. Una misura, anche questa, da sempre osteggiata da Lega e Fratelli d’Italia.

Avendo constatato “con profondo rammarico” che l’istituto giuridico della prescrizione impedisce “l’apertura di qualsiasi nuova indagine sugli atti di tortura” subiti dai ricorrenti, il Consiglio d’Europa ha chiesto [2] al governo italiano di rendere conto dei progetti di legge presentati in Parlamento da Fratelli d’Italia, in cui si intende intervenire in maniera dirompente sulla materia. Nello specifico, il partito guidato dalla premier Giorgia Meloni ha proposto [3] l’abrogazione del reato di tortura attraverso l’eliminazione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale che lo delineano, mantenendo soltanto una nuova aggravante comune. I firmatari della proposta di legge hanno infatti affermato che “l’incertezza applicativa in cui è lasciato l’interprete” con le norme in questione “potrebbe comportare la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all’applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di polizia che per l’esercizio delle proprie funzioni è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica”. A schierarsi subito per la difesa del reato di tortura, oltre a Pd, M5S e Avs, sono state [4] le associazioni Amnesty International, Antigone e A Buon Diritto, che a tal fine hanno lanciato un appello.

Il reato di tortura, insieme alla previsione di un’aggravante nel caso in cui a commetterlo siano agenti delle forze dell’ordine, è stato introdotto [5] nel nostro ordinamento nel 2017. A dare impulso all’approvazione della legge sono state le condanne comminate dalla Cedu allo Stato italiano per i fatti del G8 di Genova, prima nel 2015, quando i giudici di Strasburgo si sono espressi sul ricorso avanzato da Arnaldo Cestaro, una delle vittime del violento pestaggio, e poi con la sentenza “Bartesaghi Gallo ed altri contro Italia” del giugno 2017, in favore di altri 29 ricorrenti. A ottobre, a più di 22 anni di distanza dalla “macelleria messicana” messa in atto dalle forze dell’ordine al G8 di Genova, altri quattro manifestanti hanno ottenuto un risarcimento da parte dello Stato italiano per essere stati violentemente pestati e torturati. Ed ora, dopo le molte condanne spiccate [6] per il reato di tortura dai tribunali italiani – all’indirizzo delle forze dell’ordine come di altre categorie di cittadini – sulle intenzioni del governo Meloni l’Unione Europea vuole vederci chiaro.

[di Stefano Baudino]