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Si stanno prendendo tutto: la guerra di classe scatenata dalle élite (Monthly Report)

Il periodo storico che stiamo attraversando è segnato da un evento di lungo corso, ma di cui non ci siamo accorti: la guerra di classe al contrario. La ricerca del profitto delle élite viene promossa ad ogni costo e si insinua in ogni crepa della società, fino a trasformare anche le grandi emergenze e i cataclismi naturali in occasioni per trarre guadagno. E mentre i profitti delle aziende crescono come mai prima d’ora, l’idea di una giusta redistribuzione della ricchezza è stata completamente accantonata e le famiglie italiane si trovano a perdere potere d’acquisto per un valore pari a circa tre stipendi all’anno (dati del 2022). Ma come si è arrivati fino a qui? Come si è giunti a normalizzare il concetto di disuguaglianza, invece che combatterlo? E come possiamo fare per uscirne? 

Questi i temi al centro del nuovo Monthly Report, la rivista mensile de L’Indipendente all’interno della quale trattiamo tematiche di particolare rilevanza che riteniamo non sufficientemente approfondite dalla comunicazione mainstream.

Il numero è disponibile in formato digitale e cartaceo per gli abbonati (qui [1] tutte le info su come riceverlo) ed ora anche per i non abbonati (a questo link [2]).

L’editoriale del nuovo numero: La scala immobile

Era il 1985: al cinema si andava a vedere Ritorno al Futuro, i bambini rompevano l’anima ai genitori per avere la prima edizione del videogioco Super Mario Bros e negli stadi si assisteva all’incredibile campionato del Verona, che diventerà campione d’Italia a sorpresa. I prezzi crescevano a ritmo sostenuto perché l’inflazione era all’8%, ma le famiglie non erano preoccupate: a tenerle tranquille c’era un meccanismo chiamato “scala mobile”. Si trattava di una legge introdotta nel dopoguerra, dopo una lunga battaglia dei lavoratori: periodicamente, l’Istat calcolava come variava il costo della vita per una famiglia tipo – basandosi su un paniere di prodotti e servizi di base (dal pane al costo dell’affitto, passando per la benzina e i biglietti del cinema) –, poi una commissione nazionale approvava i dati e, a partire dal mese successivo, venivano automaticamente adeguati gli stipendi. Se l’inflazione era cresciuta dell’8% – come in quel caso – gli stipendi crescevano prontamente dello stesso 8%. Certo, come al solito tutti avevano qualcosa di cui lamentarsi: la gente brontolava che nella realtà i prezzi crescevano più degli stipendi, perché all’interno del paniere il governo teneva apposta beni che non aumentavano mai, come le sigarette nazionali (che non fumava nessuno) o come l’olio di merluzzo (che neanche i loro nonni si ricordavano a cosa servisse); gli imprenditori, invece, si lagnavano per i frequenti aumenti del costo del lavoro. Sta di fatto che gli anni in cui fu in vigore la misura, dal 1951 al 1992, coincisero con il grande boom economico e poi con quello che è ricordato come il periodo di maggior benessere materiale nella storia delle famiglie italiane.

Anche nel 2023 l’inflazione – secondo l’Istat – è all’8%: il dato più alto da quel lontano 1985. Ma le famiglie di oggi sono decisamente più preoccupate di quelle dei loro genitori. Gli stipendi sono infatti fermi al palo, ed anzi lo stesso governo Meloni ha avuto l’ardire di prescrivere – in un testo prodotto dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile scorso – che gli stipendi devono crescere poco: “occorre tutelare la moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, hanno scritto in politichese. Tradotto, significa che il governo teme che se si alzano gli stipendi poi di conseguenza potrebbe crescere ulteriormente l’inflazione e quindi ha adottato la geniale soluzione di lasciar crescere solo i prezzi. Il risultato è che – almeno stando alle rilevazioni di Mediobanca – il potere di acquisto degli italiani nell’ultimo anno si è ridotto del 22%. È una cifra enorme, praticamente tre stipendi in meno in un anno. La stessa Mediobanca certifica che, nello stesso periodo, i profitti delle principali aziende italiane sono cresciuti mediamente del 26%. In buona sostanza, grazie all’aumento dei prezzi (per un piccolo periodo legato a motivi reali come l’aumento dei costi delle materie prime, ma poi diventato speculativo), i soldi spariti dalle tasche dei lavoratori sono finite direttamente in quelli delle grandi aziende.

Quella mobile non è l’unica scala ad essersi rotta in questo Paese, è del tutto guasta anche quella sociale. Il concetto tanto abusato della meritocrazia si scontra con una realtà dove la ricchezza – dati alla mano – è sempre di più un privilegio ereditario. Il risultato è quello di un Paese che cammina su un piano inclinato che lo rende sempre più diseguale e sempre meno giusto.

Le ragioni, al solito, sono complesse e chiaramente non solo legate alle scelte politiche italiane. In questo nuovo numero del Monthly Report le analizziamo con diverse inchieste e due interviste che – crediamo – molti troveranno illuminanti. E non ci dimentichiamo di parlare delle possibili soluzioni, che ci sono e ci portano a conoscere esempi diversi e ricchi di spunti non solo economici.

L’indice del nuovo numero

Il mensile, in formato PDF, può essere acquistato (o direttamente scaricato dagli abbonati) a questo link: https://www.lindipendente.online/monthly-report/ [2]