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Gaza, la relatrice ONU conferma: Israele potrebbe compiere una “pulizia etnica di massa”

A Gaza è altissimo il rischio che Israele metta in atto una «pulizia etnica di massa». A dichiararlo è Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i Territori occupati, la quale ha invitato la comunità internazionale a intervenire al più presto per mediare un cessate il fuoco tra i combattenti di Hamas e il governo israeliano. Sono quasi duemila i palestinesi morti sotto le bombe da quando Israele ha iniziato a rispondere all’offensiva lanciata [1] da Hamas, lo scorso 7 settembre. Tra questi vi sono, ad oggi, almeno [2] 700 bambini. I feriti sono più di 7600 e altre migliaia sono i dispersi, 423 mila gli sfollati. Il governo israeliano ha invitato la popolazione delle zone settentrionali di Gaza a spostarsi verso il sud per via dei bombardamenti aerei in corso, ma non ha mai smesso di prendere di mira la popolazione, bombardando anche i mezzi che trasportavano i civili. E mentre l'”assedio totale” prosegue, con il taglio di acqua, cibo, carburante e attrezzature mediche operato da Israele in tutta la Striscia, la minaccia di una nuova Nakba si fa sempre più concreta.

«Noi siamo abituati ad affrontare le escalation, anche della durata di 10 giorni, è una cosa che succede quasi tutti gli anni. L’ultima è stata a maggio di quest’anno. Ci sono spesso escalation e bombardamenti, e le vittime sono soprattutto donne e bambini. Noi cittadini di Gaza ci siamo abituati. Ma questa volta è qualcosa di diverso. Nessuno qui si aspettava nulla di simile». Questa è la testimonianza che Deema, residente di Gaza, ha rilasciato in via esclusiva a L’Indipendente. Dal 2008, la popolazione di Gaza ha già vissuto cinque grandi guerre, ricordano le Nazioni Unite, mentre dal 2007 Israele ha messo in atto un blocco [3] dei servizi di base (cibo e acqua, per cominciare) che già prima della guerra attuale aveva portato oltre un milione di persone in una situazione di “moderata o grave insicurezza alimentare” ed era stato ampiamente condannato dalla comunità internazionale.

«Il personale delle Nazioni Unite e dell’ICRC ha ricevuto il messaggio di evacuare le zone a nord di Gaza e di spostarsi verso il sud due o tre ore prima di noi» ci racconta Deema, riferendosi al messaggio con il quale l’esercito israeliano ha comunicato ai residenti di Gaza che i territori a nord erano diventate “zone di guerra” e dunque di spostarsi a sud nelle 24 ore successive. Un’evacuazione di per sé “impossibile” [4], come denunciato da numerosissime organizzazioni internazionali. «La popolazione ha iniziato a ricevere la notizia perché queste persone hanno informato i parenti e i conoscenti. Molti hanno aspettato fino a che i mezzi d’informazione non hanno dato la notizia ufficiale, verso le sei del mattino. E quando ci hanno detto di andare a Sud, ogni persona al mondo avrebbe immaginato che quella fosse una zona sicura. Ma non è stato così, sono state bombardate persino le strade che le persone stavano percorrendo per spostarsi». Diverse esplosioni interrompono la nostra conversazione. «E io mi trovo a Sud!» esclama.

I bombardamenti incessanti delle scuole e degli ospedali (vietati da ogni convenzione internazionale proprio costituiscono i primi luoghi nei quali i civili cercano riparo in una situazione di guerra), insieme al blocco totale [3] di acqua, cibo, carburante, energia elettrica e attrezzature mediche e all’impossibilità di scappare (il valico di Rafah, l’unico punto della Striscia confinante con l’Egitto e non con Israele, è stato tra i primi obiettivi dei bombardamenti israeliani) hanno sollevato il timore che quella che Israele sta mettendo in atto non sia una semplice guerra contro Hamas. «C’è il grave pericolo che quello a cui stiamo assistendo possa essere una ripetizione della Nakba del 1948 e della Naksa del 1967, ma su scala più ampia. La comunità internazionale deve fare tutto il possibile per impedire che questo accada di nuovo» ha dichiarato [5] senza mezzi termini la relatrice speciale dell’ONU, Francesca Albanese. L’esperta ha fatto notare come siano stati gli stessi funzionari pubblici israeliani a invocare una nuova Nakba. Il termine (in italiano traducibile con “la catastrofe”) fa riferimento ai fatti che ebbero luogo nel 1948 e che portarono alla costituzione dello Stato di Israele, durante i quali oltre 750 mila palestinesi furono espulsi con la violenza dalle proprie case e dalle proprie terre. Il processo è stato identificato da diversi storici come un vero e proprio esempio di pulizia etnica di una popolazione. Nel corso della Naksa (1967), quando Israele occupò la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, gli sfollati furono oltre 350 mila.

Sono migliaia [6] le persone che si sono trasferite al sud di Gaza dopo l’ordine di Israele, ma molte hanno deciso di non andarsene. Non esistendo a Gaza un posto sicuro in cui rifugiarsi, in molti hanno infatti deciso di non abbandonare le proprie case. «Potrete tornare a Gaza City solo quando verrà fatto un altro annuncio che lo permetta» hanno dichiarato i militari, intimando la popolazione di non avvicinarsi all’area della barriera di sicurezza con lo Stato di Israele. Gli aerei da guerra israeliani hanno poi preso di mira tre punti diversi delle strade Salah al-Din e al-Rashid, lungo le quali la popolazione si stava spostando verso sud, colpendo due camion che trasportavano profughi e un’auto. Le vittime sono state almeno 70 (soprattutto donne e bambini), mentre 200 sono stati i feriti.

«Israele ha già effettuato una pulizia etnica di massa dei palestinesi con la scusa della guerra» ha dichiarato Albanese, aggiungendo che «Ancora una volta, in nome dell’autodifesa, Israele sta cercando di giustificare ciò che equivarrebbe a una pulizia etnica». Per tale motivo, «Le Nazioni Unite e i suoi Stati membri devono intensificare gli sforzi per mediare un cessate il fuoco immediato tra le parti, prima di raggiungere un punto di non ritorno». La responsabilità della comunità internazionale è infatti quella di «prevenire e proteggere le popolazioni da crimini atroci» ha sottolineato Albanese, che ha proseguito affermando la necessità di «perseguire immediatamente la responsabilità per i crimini internazionali commessi dalle forze di occupazione israeliane e da Hamas».

«Le continue operazioni militari di Israele sono andate ben oltre i limiti del diritto internazionale» ha dichiarato la relatrice. «La comunità internazionale deve fermare queste gravi violazioni del diritto internazionale ora, prima che la tragica storia si ripeta. Il tempo è fondamentale. Sia i palestinesi che gli israeliani meritano di vivere in pace, parità di diritti, dignità e libertà».

[di Valeria Casolaro]