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La scuola è ricominciata tra precariato e cattedre fantasma (come al solito)

La campanella del rientro è già suonata per milioni di studenti italiani, tornati in classe con tanti buoni propositi per quello che verrà. Ma per ogni nuovo anno scolastico che inizia, i soliti vecchi problemi – così radicati che sembra ormai impossibile estirparli – sono già pronti a bussare alla porta. Fra questi, il precariato degli insegnanti è solitamente in cima alla coda. Infatti anche questa volta, al fischio d’inizio, migliaia di cattedre sono rimaste scoperte. Posti che probabilmente, com’è già abituato a fare da anni, il Governo tenterà di coprire con altrettante supplenze temporanee. I sindacati dicono che, in generale, le supplenze annuali siano oltre 200mila, a cui si aggiungono quelle tappabuchi e con breve scadenza dell’ultimo momento. Fondamentalmente lavoratori grazie ai quali il sistema dell’istruzione italiana continua a reggersi in piedi.

Il problema principale che ingarbuglia la macchina burocratica sono le altrettante complicate e lente procedure per assumere nuovi insegnanti di ruolo – professionisti cioè a tempo indeterminato che hanno vinto un concorso e a cui è stata assegnata una determinata sede per esercitare la professione. E anche quando il Ministero riesce ad organizzare concorsi ordinari e straordinari per aumentare le assunzioni, i bandi risultano comunque insufficienti. Così, nonostante il Governo abbia dichiarato durante l’estate di avere «un programma di inserimenti nella pubblica amministrazione che per la scuola prevede nei prossimi mesi di inserire 60mila nuovi insegnanti», e che «la situazione è in netto miglioramento rispetto al passato», la realtà dei fatti risulta decisamente diversa. Secondo un’analisi [1] di Tuttoscuola, il precariato scolastico è, stando ai dati, fuori controllo. Su un totale di circa 900mila posti di docente assegnati, l’anno scorso quelli a termine erano 225 mila. Detto altrimenti, un docente su quattro è precario.

Un danno non solo per i docenti, costretti a sospendere la propria vita, condizionata dall’incertezza del rinnovo, o chiamati poco prima della campanella per coprire un posto rimasto vacante. Ma a subirne le conseguenze sono anche gli studenti, costretti ad abituarsi repentinamente a persone e a metodi di lavoro a volte anche molto diversi tra loro, impossibilitati a provare empatia e affetto per una figura che, una settimana dopo, potrebbe non esserci più.

Una condizione di stress e disagio che pesa soprattutto in un periodo come questo [2], segnato da una presenza crescente di disagi psicologici e disturbi di ansia tra gli studenti. Unione degli universitari (UDU) e Rete degli studenti medi hanno cercato di far fronte [3] presentando alla Camera dei Deputati un disegno di legge per istituire presidi psicologici in tutte le scuole e università. Una richiesta che si inserisce in una più ampia mobilitazione a tutela della salute mentale [4] portata avanti dai ragazzi di tutta Italia, che tra le mura scolastiche provano un «fortissimo disagio psicologico». Con il risultato che, secondo l’indagine Chiedimi come sto [5], effettuata su un campione di 30mila studenti, il 91% degli alunni delle superiori e delle università vorrebbe il supporto di esperti negli istituti.

Ma i problemi scolastici sono anche di natura fisica. Cittadinanzattiva ha censito [6] 61 episodi di crollo o distacchi di intonaco avvenuti nelle scuole fra settembre 2022 e agosto 2023, un numero mai raggiunto negli ultimi sei anni – da quando cioè l’associazione effettua il monitoraggio. Fra questi, 24 sono avvenuti nelle regioni del Sud e nelle Isole (39%), 23 nel Nord (38%) e 14 nelle regioni del Centro (23%), provocando in totale il ferimento di sei studenti, una insegnante, una collaboratrice scolastica, e innumerevoli danni agli ambienti e agli arredi – oltre che comportando l’interruzione della didattica. Come spiega Cittadinanzattiva, «le cause sono in gran parte da ravvisare nella vetustà degli edifici e dei materiali con cui sono stati costruiti, nell’assenza o carenza di manutenzione, nella riduzione degli investimenti relativi a indagini e relativi interventi su controsoffitti, solai, tetti, e nella mancanza di tempestività».

Tirando le somme è chiaro che proprio la scuola, quel settore che secondo l’UE [7] “può contribuire a prevenire la povertà e l’esclusione sociale, assicurare il mantenimento dei valori umani e civili ed aiutare a combattere tutte le forme di discriminazione”, è uno fra quelli su cui il nostro Paese tira più la cinghia.

[di Gloria Ferrari]