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Santa Maria Capua Vetere: 22 agenti a processo per le torture sono tornati in servizio

Ventidue agenti di sorveglianza sotto processo per le torture ai danni dei detenuti emerse nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) sono stati reintegrati in servizio dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP). Una decisione a lungo sollecitata dal sindacato di polizia penitenziaria, ma fortemente criticata dai movimenti in favore dei diritti dei detenuti, che sottolineano come molti carcerati si troveranno ora nuovamente di fronte a parte degli agenti sospettati di essere autori delle violenze, ampiamente testimoniate dalle immagini a circuito chiuso della casa circondariale. Tra poliziotti e funzionari, sono [1] in tutto 105 i soggetti sotto processo, accusati a vario titolo di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino 28enne Lakimi Hamine (addebitato a 12 individui), che fu posto in isolamento subito dopo il pestaggio e fu poi trovato morto il 4 maggio 2020. Tra gli individui alla sbarra, ci sono anche alcuni medici, a cui si imputa di non aver refertato le violenze subite dai detenuti con l’obiettivo di “coprire” i responsabili.

In quella caldissima primavera del 2020, i tafferugli scoppiarono in seguito a una protesta scatenata dai detenuti per la difficile situazione interna al carcere dovuta al diffondersi della pandemia da Covid-19. Era l’inizio della pandemia e, di fronte alle immagini diffuse dalla tv, tra i carcerati si era diffuso il terrore del contagio, alimentato dal fatto che nelle celle sovraffollate essi non potevano certo rispettare il distanziamento sociale consigliato dalle autorità politiche. Alla protesta dei detenuti gli agenti della polizia penitenziaria risposero con immane violenza: le immagini [2] registrate dalle telecamere di sicurezza del carcere hanno mostrato chiaramente le manganellate, i calci, i pugni e le testate inferte dai poliziotti penitenziari a detenuti spesso inermi, barcollanti sulle scale della struttura o stesi a terra.

In seguito alla sospensione, il sindacato di Polizia Penitenziaria Uspp aveva più volte chiesto al Ministero e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di reintegrare in servizio gli agenti – in particolare quelli le cui posizioni erano considerate più lievi – a causa delle difficoltà economiche che avrebbero patito a causa della conseguente riduzione dello stipendio. Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, rispettivamente presidente nazionale e segretario campano dell’Uspp, ricordano [3] di aver «scritto più volte sulla inutilità di un provvedimento eccessivamente penalizzante, certi che gli esiti del mega processo in atto potranno essere meno rilevanti per la maggior parte degli agenti coinvolti. E, finalmente, proprio dopo il nostro ennesimo sollecito a revocare la misura della sospensione, grazie alla determinazione del Sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, è arrivata la riammissione in servizio di altri 22 colleghi». E il sindacato, ora, auspica la veloce riammissione degli agenti penitenziari ancora sospesi.

Nella cornice del processo scaturito dall’inchiesta aperta dalla Procura, il reato più grave ipotizzato dai pm, contestato a una cinquantina di pubblici ufficiali, è quello di tortura. Introdotta nell’ordinamento nel 2017, tale fattispecie di reato potrebbe presto scomparire: Fratelli d’Italia, la forza politica di maggioranza di cui è leader il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha infatti recentemente presentato [4] alla Camera un progetto di legge per la sua abrogazione, prevedendo “l’introduzione di una nuova aggravante comune per dare attuazione agli obblighi internazionali discendenti dalla ratifica della CAT [la Convenzione contro la tortura, ndr] e la contestuale abrogazione delle fattispecie penali della tortura e dell’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura”. Nel 2019, il suo principale partner al governo, il leader della Lega Matteo Salvini, aveva promesso ai poliziotti del Sap l’abrogazione del reato, aggiungendo [5] che «ormai lo sport preferito da alcuni detenuti è la denuncia immotivata di violenza o tortura da parte di donne e uomini in divisa».

[di Stefano Baudino]