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Per la prima volta l’ONU ha commemorato la catastrofe palestinese

Per la prima volta nella storia, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha commemorato [1] la Nakba, un giorno molto significativo per la storia del popolo palestinese, che cade il 15 maggio di ogni anno. La data ricorda infatti la prima guerra tra arabi e israeliani, combattuta tra il 1947 e il 1948 e terminata con la sconfitta dei primi, e la loro seguente cacciata. Dopo la vittoria, Israele – che fondò ufficialmente il suo Stato il 14 maggio del 1948 – rase al suolo decine di villaggi palestinesi e gli abitanti di quelle terre – circa 700mila persone – furono costretti a scappare, dando vita a quell’esodo (la ‘Nakba’, che in arabo sta per ‘catastrofe’) che in realtà si protrasse per moltissimi mesi. E che, in realtà, sotto forme differenti dura ancora oggi [2].

L’ONU aveva già deciso di celebrare la ricorrenza con una risoluzione votata lo scorso novembre dall’Assemblea generale, ma non sostenuta da tutti i membri. Alcuni Paesi – tra cui l’Italia – si sono opposti: i rapporti con Israele [3] sono così radicati, che l’Occidente non può e non vuole tirarsene indietro. Tuttavia la proposta è riuscita comunque a passare, con 90 voti favorevoli – molti dei quali provenienti da Paesi arabi – 30 contrari e 47 astenuti.

Una scelta che Gilad Erdan, il rappresentante della comunità israeliana alle Nazioni Unite, ha definito «vergognosa», in quello che, come ha spiegato in una lettera inviata ai delegati degli altri Paesi, «è un tentativo di distorcere la storia».

In realtà è stato proprio un rapporto [8] elaborato da una commissione d’inchiesta indipendente delle stesse Nazioni Unite, diffuso lo scorso 20 ottobre, a definire “illegale” l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, per via “della sua permanenza e delle azioni intraprese da Israele per annettere parti del territorio”. Il controllo permanente esercitato sulla Cisgiordania e l’annessione delle terre rivendicate dai palestinesi a Gerusalemme e in Cisgiordania, oltre alle terre siriane nel Golan, configurerebbero, a detta dei commissari, una violazione da parte di Israele del diritto internazionale.

Nel rapporto, in particolare, si legge come “la Commissione ha rilevato che vi siano motivazioni ragionevoli per concludere che l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi sia ora illegale secondo l’attuale legge internazionale a causa della sua permanenza e delle azioni intraprese da Israele per annettere parti del territorio de facto e de iure. Le azioni di Israele volte a causare fatti irreversibili sul terreno e a espandere il suo controllo sul territorio sono riflessi e motori della sua occupazione permanente”. Inoltre, “continuando ad occupare il territorio con la forza, Israele incorre in responsabilità internazionali provenienti da una continua violazione degli obblighi internazionali, e si rende responsabile per qualsiasi violazione dei diritti delle persone palestinesi”.

Intanto però, nel concreto, Israele continua ad esercitare pressione e violenza [9] nel totale silenzio internazionale, anche se «i palestinesi meritano una vita di giustizia e dignità e la realizzazione del loro diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza», come ha detto Rosemary DiCarlo, sottosegretaria generale per gli affari politici e di consolidamento della pace.

[di Gloria Ferrari]