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Vicenza: 15.000 cittadini in piazza in difesa della sanità pubblica

Sabato mattina, il Coordinamento Veneto Sanità Pubblica (CoVeSap) ha organizzato a Vicenza una manifestazione per il diritto costituzionale alla salute e a una sanità accessibile e al servizio di tutti. Circa 15mila persone hanno risposto all’appello, prendendo parte al corteo che ha sfilato tra le strade della città. «Sentiamo che c’è il bisogno di un nuovo momento di unione e di sostegno alle iniziative dei diversi territori: la lezione della pandemia non è stata appresa da chi governa»; «non sono state fatte le scelte organizzative e gestionali necessarie al rilancio della sanità pubblica e neppure gli indispensabili investimenti sul personale», ha scritto il CoVeSap in un comunicato. Tra i 15mila manifestanti erano presenti più di cento sigle, tra associazioni locali, sindacati e partiti. Il corteo non ha creato tensioni ma ha man mano attirato consensi e partecipazione, spinti dalla volontà di impedire «lo smantellamento [1] della sanità pubblica a favore dell’avanzata del privato».

La mobilitazione popolare di Vicenza segue quella di Padova dell’anno scorso, animata da circa 4mila persone. «Da allora nulla è cambiato, da governo e Regione non abbiamo ricevuto risposte a proposito di liste d’attesa eterne, Pronto Soccorso intasati, carenza cronica di personale sia in ospedale che sul territorio, fuga dei professionisti, abbandono a loro stessi di Serd, servizi per la salute mentale e consultori», hanno dichiarato Oriana Zaltron e Marina Mancin, due delle promotrici dell’evento. Un’emergenza locale e, di riflesso, nazionale. Nel 2020, la Corte dei Conti ha certificato la carenza di 65mila infermieri nel nostro sistema sanitario. Al 2021, più di un milione e mezzo di italiani risultavano privi di un medico di base, una cifra che secondo le stime della Federazione Italiana Medici di Famiglia (FIMMG) potrebbe superare [2] i 14 milioni di cittadini nei prossimi cinque anni.

L’emergenza pandemica ha mostrato ciò che in realtà era già evidente: il sistema sanitario pubblico, a seguito di anni di finanziamenti insufficienti, rappresenta il fantasma di sé. Nel 2019, l’Osservatorio Gimbe ha pubblicato [3] un rapporto intitolato “Il definanziamento 2010-2019 del Servizio Sanitario Nazionale”. Nel periodo considerato, secondo la fondazione, sarebbero stati sottratti alla sanità pubblica 37 miliardi di euro. L’aumento nominale delle risorse stanziate (passate da 105,6 miliardi di euro nel 2010 a 114,5 miliardi nel 2019) non ha tenuto il passo dell’inflazione, dunque si è registrata una decrescita in termini reali. Nel 2019, i fondi destinati alla sanità pubblica rappresentavano il 6,4% del Prodotto Interno Lordo; dopo il picco della “spesa emergenziale” (7,3% del PIL) degli anni 2020 e 2021 a causa della pandemia da Covid-19, è stato predisposto un nuovo contenimento. Secondo le previsioni, già nel 2024 la spesa sanitaria dovrebbe attestarsi a livelli pre-pandemici, fermandosi al 6,3% del PIL.

Ciò andrà a vantaggio del settore privato che, a causa delle carenze strutturali della sanità pubblica, sta già vivendo una fase di transizione in termini di persone e conseguente traffico monetario. Una transizione spinta dalle strutture private, come dimostrato lo scorso dicembre dal meccanismo di premialità denunciato dalla trasmissione “37 e 2” di Radio Popolare, condotta da Elena Mordiglia e Vittorio Agnoletto, intervistato [4] allora da L’Indipendente. All’interno di un’inchiesta sulla lunghezza delle liste di attesa per accedere alla sanità pubblica, è stata raccolta e mandata in onda la testimonianza [5] di una dipendente di MultiMedica, che ha reso noto il beneficio indirizzato ai centralinisti in grado di attrarre i cittadini verso la sanità privata. La stessa azienda ha confermato, prima in una lettera inviata alla radio e poi in una nota, tale meccanismo.

[di Salvatore Toscano]