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Il crollo di Credit Suisse c’entra anche con la fine dell’unipolarismo a guida occidentale

Il crollo della banca svizzera Credit Suisse, che sta facendo tremare i mercati europei per il rischio di un contagio bancario, ha una ragione ben precisa che risiede nel rifiuto della Saudi National Bank – suo principale azionista – di partecipare alla ricapitalizzazione dell’istituto di credito. Il che riflette da vicino, sul piano finanziario, i rapidi cambiamenti di assetti che si stanno susseguendo negli equilibri geopolitici globali, dove le nazioni asiatiche e mediorientali stanno dando vita a nuove alleanze politiche e commerciali. La scelta della banca araba, infatti, si inserisce in un contesto in cui i sauditi si stanno riposizionando nello scacchiere internazionale allontanandosi sempre più dall’area di influenza statunitense per avvicinarsi, invece, alla Cina e, in parte, alla Russia. Lo prova il fatto che poco prima della decisione di non ricapitalizzare l’istituto elvetico, Riyad ha normalizzato [1] i suoi rapporti diplomatici con Teheran, sua storica nemica, proprio grazie ad un’intesa mediata da Pechino. La Cina accresce così il suo peso in Medioriente a scapito degli Stati Uniti, già da tempo marginalizzati nella regione anche a causa dei cattivi rapporti dei reali sauditi con il presidente Joe Biden. Quello finanziario sarebbe, dunque, uno strumento nel contesto della più ampia guerra geopolitica in cui l’asse degli equilibri di potere si sta spostando vero oriente, decretando la fine sempre più rapida dell’unipolarismo.

Il che è confermato dal fatto che, a fronte del disinvestimento nella banca svizzera, i sauditi hanno mostrato fretta nel voler stringere relazioni commerciali con Teheran: il ministro delle finanze dell’Arabia Saudita Mohammed Al-Jadaan ha detto [2] mercoledì che gli investimenti sauditi in Iran potrebbero avvenire «molto rapidamente» a seguito dell’accordo per ripristinare i rapporti diplomatici. «Non abbiamo motivo per non investire in Iran, e non abbiamo motivo per non consentire loro di investire in Arabia Saudita. È nel nostro interesse assicurarci che entrambe le nazioni traggano vantaggio dalle risorse e dal vantaggio competitivo reciproci» per affermare la stabilità nella regione, ha affermato Al-Jadaan. Ad esporre a rischi la stabilità finanziaria occidentale si aggiunge anche il fatto che da tempo Pechino non sta rinnovando l’acquisto dei titoli di Stato americani: se nel 2015 la Cina deteneva circa 1.500 miliardi di debito americano, secondo i dati [3] del Dipartimento del Tesoro Usa, nel mese di giugno 2022 la somma di Treasury detenuta dalla Cina si è assestata a 967,8 miliardi di dollari e, secondo l’ultimo dato, ora si attesta a 867.

A oriente, dunque, si smarcano dalla finanza occidentale anche a causa del fatto che i Paesi del G7 hanno usato strumentalmente la componente finanziaria come arma geopolitica sequestrando le riserve valutarie russe detenute all’estero. Il timore degli altri attori internazionali è che ciò possa succedere ad una qualunque altra nazione non allineata agli interessi di Washington. Da qui il tentativo di costruire un sistema finanziario alternativo che possa portare anche alla creazione di nuovi equilibri diversi da quelli unipolari: in questo contesto, la mossa dell’Arabia saudita potrebbe essere volta a indebolire il sistema bancario occidentale o perlomeno a mostrare che il suo peso finanziario è in grado di condizionarlo. Il presidente della Saudi National Bank, Ammar al-Khudairy, ha spiegato [4], con riferimento alle quote detenute in Credit Suisse che «Attualmente possediamo il 9,8%. Se superiamo il 10%, entrano in vigore una serie di nuove regole e non siamo propensi ad entrare in un nuovo regime normativo».

Nel frattempo, sono intervenute le banche centrali dei maggiori Paesi del G7, compresa la BCE: nonostante, infatti, le rassicurazioni sulla tenuta del sistema bancario europeo e americano, le autorità competenti, dopo il crollo di SVB [5] e dell’istituto svizzero, hanno ritenuto necessario rafforzare il sistema di monitoraggio degli istituti di vigilanza. Fed, Bce e gli altri istituti nazionali di Giappone, Gran Bretagna e Canada, dunque, interverranno sul mercato fornendo liquidità e mantenendo contatti quotidiani e non più settimanali. Le banche centrali occidentali hanno annunciato uno sforzo coordinato per migliorare l’accesso delle banche alla liquidità, sperando di calmare le preoccupazioni che agitano il settore bancario globale. L’iniziativa è cominciata oggi e durerà fino alla fine di aprile.

«Accolgo con favore l’azione rapida e le decisioni prese dalle autorità svizzere. Sono strumentali per ripristinare condizioni di mercato ordinate e garantire la stabilità finanziaria. Il settore bancario dell’area dell’euro è resiliente, con solide posizioni patrimoniali e di liquidità. In ogni caso, il nostro kit di strumenti politici è completamente attrezzato per fornire sostegno di liquidità al sistema finanziario dell’area dell’euro, se necessario, e per preservare l’agevole trasmissione della politica monetaria», ha affermato [6] la presidente della BCE, Christine Lagarde, in un comunicato.

Mentre le istituzioni finanziarie occidentali, dunque, sono in allerta per prevenire una possibile crisi finanziaria, nuove alleanze e nuovi equilibri prendono forma in oriente con le nazioni non occidentali che intessono relazioni e legami commerciali che possono sgretolare ulteriormente la già debole egemonia dei Paesi del G7. La recente stabilizzazione dei rapporti diplomatici tra Riyad e Teheran e la decisione dei sauditi di non continuare a sostenere Credit Suisse vanno entrambe in questa direzione, secondo quella che si può definire una guerra ibrida geopolitico-finanziaria.

[di Giorgia Audiello]