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La bufala totale della partecipazione record alle primarie del PD

«Rivendico con grande orgoglio che siamo l’unico partito a fare questa festa di democrazia, questa grande affluenza è dimostrazione che le scelte fatte erano quelle giuste». «La conferma che il PD è rimasto l’unico vero partito in Italia. Nessuno degli altri sarebbe mai in grado di mobilitare così tante persone». Queste le parole gonfie d’entusiasmo con cui l’uscente segretario dem Enrico Letta e l’ex presidente Romano Prodi hanno commentato l’esito [1] delle primarie del Partito Democratico. Entusiasmo scaturito da aspettative basse più che da risultati sorprendenti. Le votazioni della scorsa domenica hanno infatti attratto, secondo le stime del Nazareno, poco più di un milione di elettori. Circa 200mila in più rispetto alle aspettative dello stesso Partito Democratico, pronto a brindare a un declino popolare piuttosto che alla “festa di democrazia”. Si tratta, infatti, dell’ennesimo record negativo battuto dai dem, con l’affluenza per le primarie al minimo storico dal loro esordio nel 2007, quando l’elezione di Walter Veltroni coinvolse 3 milioni e mezzo di votanti.

A due settimane dal tonfo [2] dell’affluenza alle regionali, continua il declino della partecipazione popolare alla vita politica del Paese, a dispetto dell’entusiasmo di politici e addetti ai lavori. Le ultime primarie del Partito Democratico, che hanno portato all’elezione di Elly Schlein, confermano il calo costante che avvolge la scelta popolare del segretario dem. Il 14 ottobre 2007, per la prima volta in Italia, la guida di un partito venne assegnata attraverso le primarie, una consultazione aperta anche ai non tesserati. All’appuntamento elettorale che premiò Walter Veltroni si presentarono 3 milioni e mezzo di persone, più del triplo di quanto accaduto domenica scorsa. Due anni dopo, oltre 3 milioni di elettori affidarono la guida del Nazareno a Pier Luigi Bersani, in carica fino alla vicenda dei 101 falchi tiratori che allontanarono Romano Prodi dal Quirinale.

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Manifesti per il referendum del 4 dicembre 2016

Seguì una fase di transizione, il cosiddetto “traghettamento politico”, che tutto sommato non allontanò gli elettori dalle primarie. Nel 2013, quando Matteo Renzi divenne segretario del PD, si presentarono infatti 2,8 milioni di votanti. Il punto di svolta nella disillusione politica da parte dei cittadini arrivò nel 2017, quando “il rottamatore” venne sì confermato ma con un’affluenza quasi dimezzata (1,8 milioni di persone). Nel mezzo c’era stata la non trascurabile esperienza a Palazzo Chigi seguita dalle dimissioni per la bocciatura ai referendum del 4 dicembre 2016. Le politiche del 2018 sottolinearono la caduta libera del partito, fermo al 19% dei consensi (a fronte del 26% di cinque anni prima). Seguirono le dimissioni di Renzi come segretario ma non si registrò nessuna inversione di marcia per le primarie successive che  elessero Nicola Zingaretti perdendo tuttavia circa 200mila elettori rispetto al 2017. A distanza di cinque anni, il Partito Democratico ha perso un altro mezzo milione di voti confermando la propria fase discendente.

L’involuzione del numero degli elettori negli anni non può essere letta come il venir meno dell’entusiasmo della novità rappresentata dalle primarie, introdotte in Italia proprio dal Partito Democratico. L’esame del Nazareno deve essere introspettivo e rivolto dunque al proprio percorso politico, arricchitosi negli anni di misure impopolari. Si pensi al Jobs Act, al Memorandum [4] con la Libia e o alla legge elettorale “Rosatellum”, tutti elementi di un tradimento nei confronti dei propri elettori consumatosi su più livelli: da quello economico a quello dei diritti umani, passando per la centralità del votante in occasione delle elezioni. Aristotele era solito affermare che chi è causa del suo mal pianga se stesso. Gli esponenti dem invece esultano.

[di Salvatore Toscano]