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L’autonomia delle Regioni rischia di differenziare anche la tutela ambientale

La tutela dell’ambiente dovrebbe figurare tra le priorità sostanziali, più che formali, dei governi di tutto il mondo, data la necessità di una risposta collettiva. Tuttavia, tale materia non ricopre ancora, al di là della retorica elettorale, il posto che le spetterebbe all’interno del dibattito pubblico. La questione ambientale, mai menzionata dal disegno di legge sull’autonomia differenziata [1], potrebbe uscire dalla porta e rientrare dalla finestra della politica italiana. Se la proposta legislativa venisse approvata, ciascuna Regione potrà infatti chiedere la legislazione esclusiva sulle materie previste [2] dall’articolo 117 della Costituzione. Si tratta, nello specifico, delle materie a legislazione concorrente, a cui si aggiungono alcune delle prerogative statali, tra cui “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Un approccio politico che rischia di cozzare con la logica, dal momento in cui la gestione del fenomeno richiede un’azione collegiale, che supera anche i confini statali.

Il rischio che la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali proceda a varie velocità e si incagli nei confini amministrativi regionali è reale. A garantire una previsione minima dovrebbe essere lo Stato attraverso la spesa per i livelli essenziali di prestazione (LEP). Da qui poi le Regioni, in base alle risorse a disposizione, realizzeranno le proprie politiche. Visto il depotenziamento del sistema di redistribuzione della ricchezza tra i vari enti regionali, che segue il principio di coesione, è probabile – se non certo – che l’Italia inizierà a viaggiare ancor di più a due velocità lungo la direttrice nord/sud, con conseguente potenziamento di alcuni poli e isolamento di altri. Relativamente alla tutela dell’ambiente, in mancanza di fondi, si materializza il rischio di un sacrificio o quantomeno di una secondarietà. Al danno si aggiunge la beffa e, con l’obiettivo di fare cassa, si potrebbe optare per un atteggiamento di laissez faire nei confronti della natura sempre più predatoria dell’urbanistica, in un Paese con un evidente problema di consumo di suolo, come evidenziato nell’ultimo Monthly Report [3] de L’Indipendente.

[di Salvatore Toscano]