- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Perché è meglio non mangiare le mandorle della California

Gli Stati Uniti sono il primo produttore ed esportatore al mondo di mandorle. In California, nella Central Valley, ogni anno si produce un miliardo di tonnellate di mandorle, pari all’80% della produzione mondiale. Quella della mandorla americana è un’industria cresciuta negli ultimi anni a ritmi straordinari, sostenuta principalmente dalla domanda di latte di mandorla. La mandorla californiana è una qualità di taglia grande, più delle mandorle italiane, con la superficie più liscia e con una resa di produzione nei campi del 60% contro il 20% di quelle italiane. Un bel risultato per i produttori e per il profitto ma, come vedremo, non per il gusto e nemmeno per la salute. Si tratta di una produzione che, oltretutto, si sta rivelando insostenibile anche per la tutela della biodiversità, contribuendo a una vera e propria strage di api [1].

La resa delle mandorle californiane è dovuta in gran parte ai trattamenti chimici che vengono fatti sui campi, che le rendono grosse di taglia e velocizzano la maturazione, ma ne diluiscono anche il sapore. Le mandorle californiane hanno un alto contenuto di aflatossine, sostanze cancerogene e neurotossiche. Nel 2007 la Commissione Europea ha bloccato le mandorle californiane denunciandone la tossicità. Per la precisione “cancerogene e genotossiche anche a basse dosi”, affermava [2] la decisione della Commissione Ue che il 7 agosto 2007 bloccò le importazioni di mandorla californiana in Europa, perché superavano costantemente i limiti fissati a tutela della salute dei consumatori. Come è andata a finire? La UE ha emanato norme con l’innalzamento dei livelli di tolleranza di aflatossine sulla frutta secca, sia sulla materia prima che sul trasformato. Attualmente oltre la metà della produzione californiana viene importata in Europa.

Lo sfruttamento e strage delle api

Irrorati di pesticidi e diserbanti, i mandorleti californiani hanno però anche bisogno delle api, indispensabili per l’impollinazione e la fioritura. La crescente domanda di api da utilizzare in queste coltivazioni ha fatto sì che molti apicoltori provenienti da tutta la California negli ultimi anni abbiano deciso di affittare le loro colonie ai proprietari dei mandorleti. Noleggiare gli alveari è diventato più redditizio che vendere miele e per molti apicoltori costituisce ormai almeno la metà delle entrate. Ma questo processo ha mostrato un lato oscuro grave per l’ecosistema. Solo nella stagione 2018-2019 infatti sono morte 50 miliardi di api, circa un terzo della popolazione di quelle americane allevate per fini commerciali. In media un apicoltore che ha noleggiato le proprie api ne ha perse un terzo, sei volte tanto le perdite medie riscontrate normalmente nella produzione del miele, che si aggira sul 5%.

I pesticidi vengono utilizzati per tutti i tipi di colture dello stato, ma la mandorla, a dosi di 35 milioni di libbre all’anno [3], ne viene cosparsa in quantità maggiori rispetto a qualsiasi altra. Uno dei pesticidi più ampiamente applicati è l’erbicida glifosato, che è una sostanza di base dei coltivatori di mandorle su larga scala e ha dimostrato di essere letale per le api e di causare il cancro [4]negli esseri umani. Il produttore, la multinazionale Monsanto di proprietà di Bayer, nega il legame con il cancro quando le persone usano l’erbicida nel dosaggio prescritto. Ma già diversi tribunali statunitensi si sono pronunciati a favore degli utilizzatori di glifosato che hanno sviluppato forme di tumori come il linfoma; e migliaia di altre cause sono ancora pendenti.

Oltre alla minaccia dei pesticidi, l’impollinazione delle mandorle è particolarmente faticosa per le api perché gli alveari vengono risvegliati dal letargo invernale uno o due mesi prima del normale. L’enorme quantità di insetti impollinatori necessari supera di gran lunga quella di altre colture: ad esempio le mele, la seconda coltivazione più grande d’America, utilizzano solo un decimo del numero di api. E per le mandorle le api sono concentrate contemporaneamente nella stessa regione geografica, aumentando esponenzialmente il rischio di diffondere una epidemia. Dietro la morte di miliardi di api dello scorso inverno c’è ad esempio l’attacco di un acaro parassita, il Varroa destructor, che succhia l’emolinfa delle api provocando la morte di intere colonie.

«Le api sono esposte a tutti i tipi di malattie in California – afferma Dennis Arp, un apicoltore dell’Arizona che ogni anno noleggia i suoi alveari alle coltivazioni della California – possono esserci centinaia di migliaia di alveari di più apicoltori in un’area di sosta. È come lasciare che le tue api entrino in un bar per single e poi facciano sesso non protetto».

Il business delle mandorle è andato bene per Arp. Lo scorso febbraio, ad esempio, ha installato 1.500 dei suoi alveari nel frutteto di un coltivatore a 200 dollari per alveare – per questo egli è riluttante nel vedere una correlazione diretta tra le continue sfide per la salute delle sue api e il tempo trascorso da queste ogni primavera nei mandorleti. «Alle api piace lavorare sulle mandorle», dice Arp. «Ma ovviamente questo le espone a rischi.»

Ora perde regolarmente il 30% o più delle sue api all’anno, rispecchiando le statistiche nazionali. In qualsiasi altro settore, la morte di un terzo della tua forza lavoro causerebbe una protesta internazionale, ma questa perdita sbalorditiva è ora considerata il normale costo per fare affari d’oro.

Alla ricerca di una soluzione

[Il sigillo certificato Bee Better]
La speranza si trova in un nuovo programma di certificazione che, simile alle etichette “biologico” o “commercio equo e solidale”, aiuterà i consumatori a scegliere prodotti realizzati con metodi rispettosi delle api. Il programma di certificazione “Bee Better” [5], lanciato nel 2017 dalla società no-profit Xerces, introduce la biodiversità nei mandorleti per controllare naturalmente i parassiti e nutrire le api mellifere. Xerces sta lavorando con i coltivatori di mandorle per piantare fiori selvatici della California, senape e trifoglio tra i filari di alberi e siepi fiorite autoctone lungo il perimetro del frutteto, una specie di recinto ecologico per tenere le api nel frutteto.

Un’altra soluzione vincente è senz’altro la coltivazione biologica, che non prevede l’uso di pesticidi. Lasciare che la natura faccia il suo corso non è una novità per l’81enne Glenn Anderson. È il primo e ancora uno dei pochi coltivatori di mandorle biologiche nella California. Il suo frutteto di 40 anni è piccolo, solo 20 acri, ed è sempre stato privo di sostanze chimiche.

«Non abbiamo parassiti; abbiamo la biodiversità», afferma Anderson, che vende principalmente direttamente a singoli clienti attraverso la sua società Anderson Almonds. A differenza dei grandi allevamenti industriali di mandorle che spogliano il terreno del frutteto per trattare in modo più efficiente insetti e funghi, Anderson consente la crescita di un ricco sottobosco, che nutre naturalmente il suolo e rafforza gli alberi.

Anderson assume ogni primavera un “hobbista apicoltore” dalla California settentrionale per installare circa 20 alveari nel suo frutteto. «Nella mia fattoria abbiamo l’opposto del collasso della colonia» afferma Anderson. «Il mio apicoltore porta giù alveari deboli che vuole ricaricare nella mia proprietà.»

Anderson afferma che il compromesso per non utilizzare pesticidi è che il suo raccolto annuale è inferiore – in genere circa 10.000 libbre – e mantiene il suo frutteto piccolo per gestirne la natura selvaggia. «Sono contrario a un modello di espansione. Non mi va bene». E per quanto riguarda le mandorle coltivate industrialmente? «Hanno il sapore del cartone», dice.

[di Gianpaolo Usai]