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Nel mondo gli arresti e le uccisioni dei giornalisti indipendenti sono in aumento

Nel 2022 il numero di reporter in prigione per via del loro lavoro ha raggiunto quota 533, il 13,4% in più rispetto al 2021. Un numero da record che emerge dal rapporto annuale [1] di Reporter senza frontiere. 110 di loro si trovano in Cina, ma nella lista dei Paesi che incarcerano i giornalisti non mancano sorprese. Sono 65 i giornalisti tenuti in ostaggio da rapitori e di 49 di loro non si sa più nulla. Mentre quelli uccisi sono 57, anche questo un numero in aumento rispetto agli scorsi anni. Il Paese più pericoloso per la vita dei giornalisti si conferma il Messico.

I giornalisti detenuti in Cina sono 110. La censura e la sorveglianza, che ha raggiunto altissimi livelli soprattutto durante e dopo la pandemia, continua ad essere un grosso ostacolo per chi per mestiere racconta ciò che succede all’interno dello Stato. Tra quelle centinaia di persone c’è anche Huang Xueqin, una giornalista freelance nota per aver denunciato in Cina corruzione, inquinamento industriale e molestie nei confronti delle donne. Sono 47 invece i reporter detenuti in Iran (l’anno scorso non compariva nella “lista nera”), che dopo lo scoppio delle proteste per la morte di Mahsa Amini [2] è diventato il terzo più grande “carceriere di giornalisti” al mondo, subito dopo il Myanmar [3] (con 62 arresti), dove di fatto fare  giornalismo è proibito, soprattutto dopo il colpo di stato militare [4] del 2021. Tornando all’Iran, del caso della giovane donna curda, deceduta mentre era in custodia dalla polizia per non aver indossato correttamente il velo, se ne erano occupate fin da subito Nilufar Hamedi ed Elahe Mohammadi, due giornaliste che ora rischiano la pena di morte per aver acceso i riflettori sulla vicenda, chiedendo verità e giustizia. Oltre a loro, ci sono altre 76 reporter attualmente detenute, un aumento vertiginoso rispetto al 2021, con un +30%. In generale, le donne rappresentano quasi il 15% dei giornalisti detenuti, più del doppio rispetto a cinque anni fa, quanto la percentuale si fermava al 7%.

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Numero di giornaliste detenute nel mondo\ Fonte Reporter senza frontiere

Oltre a Cina, Birmania e Iran, mettono a repentaglio la propria vita anche i reporter che decidono di raccontare il Vietnam (al momento sono 39 i giornalisti detenuti nel Paese) e la Bielorussia (che ne ha incarcerati 31). In generale, i tre quarti dei giornalisti incarcerati nel mondo sono per il 45% in Asia e per più del 30% nel Maghreb e nel Medio Oriente.

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Paesi con più giornalisti in prigione\ Fonte Reporter senza frontiere

A tutti questi numeri ne vanno aggiunti altri tre, altrettanto rilevanti. Nel mondo ci sono 65 giornalisti tenuti in ostaggio – tra cui Austin Tice, giornalista americano rapito in Siria nel 2012 e Olivier Dubois, reporter francese rapito nel 2021 da un gruppo armato in Mali, affiliato ad al-Qaeda – e 49 invece di cui non si sa più nulla. Potrebbero essere vivi oppure no: al momento il rapporto dice che il numero di reporter uccisi è salito a 57, anche questo in aumento rispetto all’anno scorso (+19%), complice lo scoppio a febbraio scorso della guerra in Ucraina. Basti pensare che nei primi 6 mesi di conflitto sono stati uccisi 8 giornalisti, tra cui Frédéric Leclerc-Imhoff , un videoreporter francese colpito dalle schegge di un proiettile mentre documentava l’evacuazione dei civili e Maks levin, fotografo ucraino scomparso il 13 marzo e ritrovato morto in una foresta ad aprile.

Tuttavia, a conti fatti, più della metà dei giornalisti uccisi quest’anno si trovavano in Paesi considerati “in pace”. Undici di loro, ad esempio, sono stati assassinati in Messico (il 20% del numero complessivo di giornalisti uccisi in tutto il mondo), 6 ad Haiti e 3 in Brasile. Il rapporto considera infatti le Americhe come “la regione più pericolosa del mondo per i media, con quasi la metà (47,4%) del numero totale di giornalisti uccisi in tutto il mondo nel 2022”.

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Paesi più pericolosi per la vita dei giornalisti\ Fonte Reporter senza frontiere

Si tratta di giornalisti detenuti o uccisi in gran parte per aver fatto lavori scomodi ai governi o a forti interessi economici privati. Tra i primi rientra ad esempio Ivan Safronov, giornalista investigativo russi, condannato a 22 anni di carcere per l’accusa di aver rivelato “segreti di stato”. Tra i secondi rientra il caso di Dom Phillips, giornalista britannico,il cui corpo fatto a pezzi è stato ritrovato in una zona remota dell’Amazzonia brasiliana, dove il reporter si era recato documentare e raccontare il modo in cui i gruppi indigeni locali tentano di combattere attività illegali come il bracconaggio, l’estrazione dell’oro e la deforestazione.

Quello di RSF è ovviamente un lavoro prodotto da una organizzazione privata, il cui curriculum non è esente da punti oscuri, tra i quali spicca quello di essere particolarmente vicina agli interessi americani. Tuttavia il rapporto in questione è ben documentato e certamente il più dettagliato tra quelli che annualmente vengono presentati sulla questione.

[di Gloria Ferrari]