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Sull’onda delle proteste la Cina abbandona le politiche “Covid zero”

Dopo le massicce proteste verificatesi nelle ultime settimane in Cina, le autorità di Pechino hanno deciso di eliminare diverse rigide restrizioni anti-Covid, attuando un cambio di approccio sostanziale nella lotta al virus. Le nuove linee guida [1], presentate la scorsa settimana dalla Commissione Nazionale di Sanità (NHC), hanno infatti portato ad un allentamento generale delle misure anti-Covid, fino ad oggi applicate in modo rigidissimo. Anziché recarsi nei cosiddetti centri di quarantena, i positivi asintomatici o con sintomi lievi possono adesso isolarsi a casa, mentre in generale le autorità devono “garantire il normale funzionamento della società”. È in tale contesto, dunque, che si inserisce la possibilità di viaggiare più liberamente all’interno del paese, con i cittadini che possono ora spostarsi da una regione all’altra senza doversi sottoporre ad alcun test anti-Covid: tra le altre cose, infatti, le disposizioni sui tamponi sono state alleggerite, riducendo “la portata e la frequenza” dei test. Contemporaneamente la Commissione Nazionale di Sanità ha annunciato [2] che non avrebbe più rilasciato i dati sui contagi asintomatici, ritenendo ormai “impossibile” delineare con precisione il numero effettivo di infezioni. Come comunicato dalla stessa Commissione, infatti, attualmente si sta implementando la “strategia dell’ispezione volontaria”, e sono molti i pazienti asintomatici che non si sottopongono più ai test.

Del resto, i cittadini ultimamente hanno manifestato la volontà di tornare alla normalità tramite proteste che si sono diffuse a macchia d’olio. Già a metà novembre nella metropoli industriale di Guangzhou in centinaia avevano infranto [3] il lockdown – imposto nel quartiere Haizhu della città – protestando contro le restrizioni, mentre nei giorni successivi si erano verificati scontri [4] tra migliaia di dipendenti del maxi-stabilimento Foxconn e il personale di sicurezza. Secondo quanto riportato [5] dall’agenzia di stampa Reuters, però, le proteste sono esplose soprattutto dopo che nel corso di un incendio, scoppiato giovedì 24 novembre in un grattacielo di Urumqi, 10 persone sono morte poiché – secondo molti cittadini – le rigide misure di controllo avrebbero causato il ritardo dei soccorsi e dissuaso i residenti dal fuggire. I funzionari di Urumqi hanno così tenuto il sabato seguente una conferenza stampa per negare tale tesi, ma evidentemente ciò non è bastato a fermare i contestatori, che in diverse città – tra cui Pechino, Shanghai e Wuhan – sono poi scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Xi Jinping e protestare contro la politica sanitaria. Non sembra essere un caso, dunque, il fatto che le autorità abbiano deciso di ridurre le restrizioni proprio in seguito alle mobilitazioni, che stava facendo scivolare la Cina verso un raro scenario di proteste diffuse, partecipate e ripetute. Di fronte al quale evidentemente il governo ha preferito rivedere la propria famigerata politica “Covid zero”, con cui fin dall’inizio si è puntato a stroncare possibili focolai sul nascere prevedendo test di massa e la chiusura di interi isolati anche solo in presenza di pochi casi di coronavirus.

Seppur le autorità non ammettano che le nuove linee guida sono una conseguenza delle proteste, non si può non notare come proprio in seguito alle manifestazioni siano state smantellate le rigide politiche sanitarie del recente passato. Come anticipato, infatti, fino a pochi giorni fa i malati e i loro contatti erano costretti a recarsi in apposite strutture di quarantena, mentre intere città potevano essere bloccate. Basterà tornare con la mente al marzo 2022, quando le autorità di Pechino misero [6] in lockdown 37 milioni di persone, o a quello di aprile, quando ad altri 26 milioni di cittadini venne imposto [7] il coprifuoco e la quarantena.

È per questo che le modifiche apportate rappresentano un cambio di rotta sostanziale da parte delle autorità, che a quanto pare non imporranno neppure più i lockdown generalizzati. “Non sarà adottata alcuna forma di lockdown temporaneo”, si legge infatti nelle nuove linee guida, in cui viene sottolineato anche che le “aree ad alto rischio” da poter bloccare temporaneamente potranno essere identificate solo nei singoli “edifici, unità, piani e famiglie”, mentre le autorità non potranno espanderle arbitrariamente ad “aree residenziali, comunità e strade”. Ad ogni modo, però, anche nelle aree classificate “ad alto rischio” il lockdown dovrà terminare se non verranno rilevati nuovi casi per cinque giorni consecutivi: tutte misure che, fino a poche settimane fa, erano davvero impensabili.

[di Raffaele De Luca]