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È cominciata la COP15 sulla biodiversità: la natura avrebbe bisogno di impegno concreto

Anche se una si è da poco conclusa, oggi di COP ne comincia un’altra: quella della biodiversità, giunta alla sua quindicesima edizione, che dal 7 al 19 dicembre 2022 nello scenario di Montreal, in Canada, vedrà i Governi e le organizzazioni regionali di tutto il mondo (che fanno parte della Convenzione ONU sulla Diversità Biologica [1] del 1993) riuniti sotto la guida della presidenza di Huang Runqiu, ministro dell’ecologia e dell’ambiente della Repubblica popolare cinese, per concordare una nuova serie di obiettivi, da qui al 2030, per fermare la perdita di risorse naturali. Nulla (o quasi) a che vedere con la Cop27 di Sharm el-Sheikh [2] delle scorse settimane, organizzata per affrontare tematiche climatiche.

Nei prossimi giorni in Canada si parlerà di biodiversità, termine che l’ONU definisce [8] come “la varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono”. E visto che «senza natura, non siamo niente», come ha detto il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres durante la cerimonia inaugurale, potranno prendere parte alla COP e dare il loro apporto anche comunità locali e indigene, imprenditori e società civile. Tutti contributi, soprattutto quelli “dal basso” che per l’ONU sono fondamentali per proteggere la natura, un tassello chiave per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, come previsto dall’accordo di Parigi [9]. Al contrario, invece, pare che si stia andando nella direzione opposta [10], prediligendo e favorendo deforestazione, desertificazione e avvelenamento dell’ambiente con sostanze chimiche e pesticidi. È vero, sono tutti temi di cui si parla ormai da anni e su cui si cercano soluzioni ad ogni incontro.

Ad esempio degli obiettivi prefissati dalla COP10 del 2010 – per cui i Governi avrebbero dovuto entro il 2020 dimezzare il rischio della perdita di habitat naturale, espandere le aree protette fino al 17% di tutta la superficie terrestre e attuare piani concreti per la produzione e il consumo sostenibile – alla fine non se ne è pienamente raggiunto nemmeno uno [11]. In questo senso, il fatto che l’edizione del 2022 sia stata formalmente consegnata nelle mani della Cina, il Paese che più emette CO2 al mondo [12] (ma Canada, USA e Australia hanno emissioni di CO2 pro capite più elevate), rappresenta per Xi Jinping una ghiotta opportunità per mostrare al mondo le sue buone intenzioni future (se così sono). Per Guterres infatti bisogna prima di tutto intervenire sul modo di lavorare dei Paesi e delle loro multinazionali che «stanno riempiendo i loro conti bancari svuotando il nostro mondo dei suoi doni naturali, trasformando gli ecosistemi in giocattoli di profitto». Un atteggiamento che arricchisce in maniera illusoria, ma che in realtà non giova a nessuno, soprattutto perché, «nonostante i sogni illusi dei miliardari, non esiste un pianeta B» né per i ricchi, né per i poveri. Praticamente, parafrasando le parole del Segretario, siamo l’arma di estinzione di massa di noi stessi.

Ma la biodiversità è davvero così in pericolo? Secondo la più ampia analisi [13] fatta sul tema, ad opera dell’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) la risposta è un grande sì. Per l’organizzazione «siamo di fronte a un declino senza precedenti della diversità biologica» perché sono un milione le specie animali e vegetali a rischio estinzione, la cui scomparsa viaggi mille volte più velocemente rispetto a quello che prevedrebbero i ritmi naturali. Inoltre, dal 1900 a oggi, nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita di almeno il 20% [14] la presenza di specie autoctone, sempre più minacciate e uccise da tre fattori correlati: il cambiamento climatico, le attività antropiche e l’arrivo di specie animali aliene invasive. La presenza di queste ultime, dice la ricerca “High and rising economic costs of biological invasions worldwide” [15] del marzo del 2021, ha generato danni economici per più di mille miliardi di dollari.

Per tutti questi motivi da questa COP ci si aspetta tanto. Il punto di partenza, come ha suggerito Guterres, potrebbe essere quello di affrontare le cause del declino [16] della biodiversità, tra cui lo sfruttamento della terra e del mare [17] e l’inquinamento. Riconoscere poi alle popolazioni indigene il loro ruolo come custodi della natura, e affidargli maggiore potere potrebbe essere un’altra buona chiave di lettura. Tutti elementi, insieme a molti altri (come ridurre l’uso dei pesticidi di due terzi), toccati dai 21 progetti contenuti nella bozza del programma di Montreal.

L’importante è che, come sottolineato dall’ONU, le azioni vadano in tre macro direzioni: attuazione di piani nazionali che investano in soluzioni verdi, far andare profitto e protezione di pari passo e dare più sostegno finanziario a chi non ha sufficienti risorse per fare progetti di conservazione. Un dubbio però rimane: visti i precedenti, e vista la recente delusione derivata dall’inconcludenza della COP27 sul clima, questa COP sarà invece diversa dalle altre?

[di Gloria Ferrari]