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Milano: centinaia in corteo per Vincenzo Vecchi, l’ultimo perseguitato del G8

Sabato 8 ottobre centinaia di persone sono scese nelle strade di Milano per protestare nei confronti dell’estradizione di Vincenzo Vecchi [1] in Italia, ex no global che prese parte alla manifestazione contro il G8 del 2001. Punito dalla magistratura italiana in modo “esemplare”, Vecchi è stato condannato nel 2009 a 11 anni per quattro capi d’accusa, tra cui il reato di “Devastazione e saccheggio”, che può tradursi in una reclusione lunga tra gli 8 e i 15 anni. Successivamente, “l’ultimo perseguitato del G8” è stato arrestato in Francia nel 2019 a seguito di indagini e intercettazioni della polizia italiana. Sull’estradizione dovrà pronunciarsi domani la Corte di Cassazione di Parigi. Nella stessa giornata sono previsti presidi in piazza, nei pressi della sede dell’organo giudiziario francese. Nel frattempo, il Comité Soutien Vincenzo ha diffuso un appello [2] all’azione europea “per Vincenzo Vecchi e per i diritti fondamentali”.

In circa trecento hanno preso parte al corteo che da Porta Genova ha sfilato fino a piazzale Aquileia per protestare contro l’estradizione di Vincenzo Vecchi in Italia. “Ribellarsi è giusto, né prigione né estradizione”, recita uno degli striscioni presenti in piazza, dove non sono mancati momenti di tensione tra i manifestanti e gli agenti della Digos. Nel corso degli anni, la mobilitazione a favore della vicenda Vecchi si è arricchita del contributo di centinaia di attivisti e intellettuali tra Italia e Francia, dov’è nato il Comité Soutien Vincenzo. Il doppio filo che li lega si basa sul ricordo delle violenze [3] poliziesche alla Scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto e sulla genericità dei reati contestati ai manifestanti no-G8.

Da nove anni Vecchi si trova in Francia, dove il reato più grave ipotizzato dalla legislatura italiana non esiste. In materia di estradizione (richiesta dall’Italia nel 2016), il requisito della doppia punibilità – condizione per cui il reato è presente tanto nel diritto dello Stato richiedente quanto in quello dello Stato ricevente – è fondamentale. Tuttavia, tale filtro cade in ambito comunitario e dunque attraverso il Mandato di arresto europeo (MAE) in 32 casi diversi (reati gravi segnalati dall’art. 8, L. n. 69/2005 [4]). Non è il caso di Vecchi; dunque, sorge spontanea la domanda sul come si sia arrivato alla situazione attuale. Dopo l’arresto nel 2019 a Rochefort-en-Terre, sia la Corte d’appello di Rennes sia quella di Angers avevano deciso di scarcerare Vincenzo Vecchi. Tuttavia, la decisione è stata ribaltata lo scorso 14 luglio da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che ha deliberato a favore dell’estradizione sancendo la precedenza del Mandato di arresto europeo emesso dall’Italia rispetto all’applicazione della legislazione francese.

Stando alla sentenza [5], la Corte ritiene soddisfatta la condizione della doppia punibilità quando i fatti alla base del reato – o alcuni di essi – per i quali una persona è perseguita nello Stato di emissione costituiscono un reato nello Stato di esecuzione. La doppia punibilità non richiederebbe dunque una perfetta corrispondenza tra gli elementi (giuridici) – o la definizione – dei reati negli Stati di emissione e di esecuzione. Un appiglio nei quattro capi d’accusa rivolti a Vecchi destinato a fare giurisprudenza. “Ordinando la consegna di Vincenzo all’Italia, nonostante i diritti fondamentali e i gravi abusi relativi a questo caso, la CGUE ha creato una giurisprudenza europea il cui ambito, ben oltre il caso di Vincenzo, rende automatica e puramente burocratica l’applicazione del MAE, privando i giudici di ogni forma di indagine dettagliata, e la difesa di far valere i propri diritti”, ha scritto in una nota il Comité Soutien Vincenzo.

[di Salvatore Toscano]