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La siccità spinge il Kenya a cedere alle colture OGM

A causa della peggiore siccità degli ultimi 40 anni, il Kenya si è trovato costretto a revocare il divieto sulle colture geneticamente modificate. Le Autorità – si legge in una dichiarazione rilasciata dall’ufficio del Presidente Ruto – confidano che questa apertura possa migliorare i raccolti e la sicurezza alimentare dei suoi cittadini. La prima conseguenza diretta di questo provvedimento sarà il via libera alla coltivazione e all’importazione di mais bianco geneticamente modificato. Il Kenya, così, è ora il quarto paese africano ad aprire totalmente le porte alle varietà transgeniche. Un primo passo però lo aveva già fatto il governo precedente con la commercializzazione di cotone OGM, a cui è seguito quello dell’Autorità nazionale per la biosicurezza del Kenya che ha dato il via libera all’uso di manioca geneticamente modificata. Più volte Washington aveva criticato la nazione per la sua chiusura ai prodotti alimentari derivati da biotecnologie (e spesso da colossi USA), non è quindi escluso che oltre alla siccità vi siano state altre forme di pressione.

La crisi climatica che si sta abbattendo sull’intero pianeta sta portando delle gravi conseguenze che per la maggior parte dei casi si ripercuoto sugli stati più poveri. Il Kenya, ad esempio, pur rilasciando in atmosfera meno dello 0,1% delle emissioni globali di gas serra, e avendo un tasso di emissione pro capite inferiore alla metà della media globale, risulta comunque uno dei paesi che più risente dell’impatto climatico, tra siccità e inondazioni a cui economicamente non riesce a far fronte. Il 2011 è stato l’anno della grave siccità che ha causato danni per 11 miliardi di dollari. Tra il 2014 e il 2018, la siccità ha lasciato mezzo milione di persone senza accesso all’acqua e oltre 3 milioni di persone [1] in condizioni di insicurezza alimentare. Nel maggio di quest’anno l’Oxafam e Save the Children nel rapporto Dangerous Delay 2: The Cost of Inaction hanno stimato che in Etiopia, Kenya e Somalia la siccità potrebbe uccidere «una persona ogni 40 secondi», annunciando che in Kenya «3,5 milioni di persone stanno soffrendo la fame».

In Kenya, l’agricoltura rappresenta una delle principali forze dell’economia, circa il 70% della forza lavoro è rurale. Per far fronte alla grave siccità che sta colpendo il Corno d’Africa e alla necessità di aumentare i raccolti quindi, il presidente William Ruto ha autorizzato la coltivazione e l’importazione di colture geneticamente modificate (OGM) tra cui anche i mangimi per animali, cancellando il divieto imposto l’8 novembre 2012 che vietava questa pratica. Con questo provvedimento il Kenya diventa quindi il quarto Paese africano a concedere ai transgenici di entrare in agricoltura, assieme a Sud Africa, Egitto e Burkina Faso.

Negli anni non si sono fatte attendere critiche da parte degli USA che avevano contestato il Kenya per la chiusura a prodotti alimentari derivanti da biotecnologie, il che limitava in grande misura la vendita di prodotti da importazione a società statunitensi come DowDuPont Inc e Monsanto. Le pressioni nel 2020 avevano spinto Nairobi ad accettare la revoca del divieto di importazione del grano USA a seguito di un accordo tra Jomo Kenyatta (attivista e politico anticolonialista keniota) e Donald Trump.

La nuova legge, si è dovuta scontrare con le opposizioni di organizzazioni ambientaliste e diversi parlamentari e produttori agricoli locali, che temono l’introduzione delle sementi OGM poiché potrebbero contaminare i prodotti locali. Le piante OGM sono resistenti ad alcuni tipi di pesticidi e producono tossine grazie alle quali risultano immuni da alcuni parassiti, ma al momento non esistono piante geneticamente modificate per resistere a lunghi periodi di siccità. Inoltre, le coltivazioni OGM non producono sementi e quindi i contadini che le utilizzano sono obbligati ad acquistarne di nuove ad ogni stagione, il tutto ovviamente al prezzo di mercato imposto dalle corporazioni che ne detengono i brevetti.

[di Marina Lombardi]