- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Basilicata: ENI regala il gas in cambio di altri permessi di estrazione petrolifera

Con una legge regionale firmata da Vito Bardi, esponente di Forza Italia e presidente della regione Basilicata, i cittadini lucani usufruiranno di “erogazione gratuita mediante rimborso della componente energia del prezzo del gas fornito per le utenze domestiche e delle pubbliche amministrazioni regionali”. In altre parole, per i prossimi mesi – dovrebbe partire da settembre – gas gratis per (quasi) tutti, a patto che ogni abitante mantenga la propria spesa al di sotto dei 5mila euro.

La misura [1], pensata per combattere il caro bolletta di questo periodo, era già stata approvata a metà agosto dal Consiglio regionale ed esclude invece “gli enti pubblici economici, le società partecipate, gli enti locali regionali” e le persone che non hanno collegato la propria abitazione alla rete del gas o usano altri tipi di riscaldamento. A loro la regione offrirà alcuni incentivi per installare impianti che producano “energia pulita” come pannelli fotovoltaici e solari.

A tutti gli altri utenti invece spetterà ancora sostenere i costi di gestione del contatore, quelli del trasporto e degli oneri di sistema, mentre i consumi effettivi saranno azzerati. In questo modo, secondo le proiezioni, la cifra in bolletta dovrebbe praticamente dimezzarsi. Com’è possibile?

C’entrano la Val d’Agri e gli accordi che la Basilicata ha stipulato con le società che si occupano dell’estrazione di risorse nella zona, situata tra le province di Potenza e Matera, e che comprende lo spazio tra i monti Sirino e Volturino. In pratica il patto prevede che le imprese offrano forniture gratuite alla regione (che comunque dovrà sostenere alcuni oneri) in cambio del rinnovo delle concessioni estrattive per i prossimi 10 anni.

Le società che gestiscono gran parte dell’economia estrattiva in Basilicata sono Eni e Total, che si impegneranno a fornire annualmente ai lucani 200 milioni di metri cubi di gas naturale (la Basilicata stima di consumarne 160 milioni e per questo reputa l’iniziativa concretamente e numericamente fattibile). La misura gioverà certamente nell’immediato alle tasche dei cittadini lucani, che in cambio però dovranno continuare a sopportare le attività petrolifere sul loro territorio per altri dieci anni. E non si tratta certo di attività a impatto zero, né per l’ambiente né per la salute.

Qualche mese fa vi avevamo parlato [2] della vicenda del Lago Pertusillo, un bacino artificiale situato nella Basilicata sud-occidentale, nei pressi di alcuni stabilimenti petroliferi di ENI. Grazie alle indagini [3] commissionate dalla rivista scientifica internazionale MDPI, c’è stata la conferma che le alghe che hanno colonizzato a lungo le sue acque sono dovute alla presenza di idrocarburi del petrolio. I campionamenti hanno rivelato nello specifico la presenza di particelle ben oltre il limite consentito: 286 mcg/l di idrocarburi totali disciolti (il limite è 200), 6,65 mg/l di azoto (il limite è 2 mg/l).

Nella regione si estrae circa l’80% del petrolio nazionale, un’attività così intensa e dannosa che i cittadini hanno accettato solo a patto di ricavarne ricchezza. Ma, nonostante le promesse di prosperità avanzate dalle compagnie petrolifere, la Basilicata ha ancora un Pil tra i più bassi [4] e tassi di disoccupazione alle stelle. In un modo o nell’altro, comunque, le multinazionali si arricchiscono, mentre a pagare le conseguenze peggiori dell’egemonia fossile sono esclusivamente la salute dei cittadini lucani e l’ambiente naturale.

L’inquinamento ha interessato l’aria, a causa delle emissioni provenienti dagli impianti di desolforazione petrolifera, stoccaggio e estrazione, così come da inceneritori e ferriere; il suolo, per colpa dei fanghi derivanti dalle lavorazioni petrolifere, da incidenti nel corso delle estrazioni, dall’interramento dei rifiuti, nonché dalla consueta pratica di acidificazione; e l’acqua, la risorsa realmente preziosa della regione, essenziale per i suoi abitanti e per diversi milioni di cittadini pugliesi, campani e calabri che dipendono dai suoi abbondanti e – un tempo salubri – bacini idrici.

Nella Val d’Agri inoltre i composti organici volatili – sostanze classificate come cancerogene dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) – presenti in atmosfera raggiungono livelli critici: superano i 250 microgrammi per metro cubo come media giornaliera. Non a caso la mortalità nei pressi degli impianti – come ha evidenziato uno studio [5] del 2018 – è risultata significativamente maggiore che altrove. E con ulteriori proroghe estrattive di almeno altri 10 anni, sperare in un miglioramento è praticamente impossibile.

[di Gloria Ferrari]