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Ruanda, il primo paese al mondo a sconfiggere il cancro al collo dell’utero

Il Ruanda potrebbe essere il primo paese al mondo a debellare il Papilloma virus (HPV) e con esso il cancro al collo dell’utero che da esso è causato. Attraverso esami diagnostici a tappeto, prevenzione, informazione anche porta a porta e miglioramento delle cure, lo stato africano si appresta a raggiungere il risultato prima di Paesi economicamente molto più forti , dimostrando come sia possibile raggiungere risultati sanitari eccellenti grazie alla pianificazione e agli investimenti. Il cancro alla cervice (collo dell’utero) è la quarta forma tumorale più diffusa nella popolazione femminile, solo nel 2020 ha ucciso 342mila donne nel mondo [1], nove su dieci nei paesi poveri. Anche in Italia i numeri sono tutt’altro che trascurabili: 3.500 casi ogni anno e 1.500 decessi secondo le statistiche [2] dell’Agenzia del Farmaco (AIFA).

Conosciuto comunemente con il nome di Papilloma Virus, l’HPV comprende numerose varietà di organismi e le infezioni genitali causate da alcuni di essi possono sfociare in tumori del collo dell’utero. Solo nel 2019 nel Paese dell’Africa orientale quasi 1.000 erano morte a causa del tumore della cervice uterina. Il Ruanda ha dunque adottato provvedimenti innanzitutto per prevenire e prendere in tempo l’infezione, diffondendo rapidamente test per riconoscere la presenza dell’HPV e mettendo in atto un importante lavoro di sensibilizzazione sul tema, grazie a diversi operatori ed esperti pronti a informare sull’argomento, i quali vanno anche di casa in casa nei villaggi per parlare della pericolosità dell’HPV e spronare la popolazione a partecipare agli screening.

L’eradicazione del Papilloma Virus in Ruanda secondo gli esperti è stata raggiunta anche grazie a una diffusa, ma non obbligatoria, campagna di vaccinazione che ha riguardato 1,2 milioni di ragazze e donne ruandesi. Esistono infatti tre tipi di vaccini contro anti-HPV già approvati a livello globale – la cui somministrazione è consigliata seppur non particolarmente diffusa anche in Italia – il primo dei quali disponibile già dal 2006, prodotto dall’azienda farmaceutica francese Sanofi e commercializzato con il nome di Guarnasil [3].

Un ultimo tassello va aggiunto per comprendere come il Ruanda sia arrivato al risultato. I costi economici per raggiungere il risultato sono stati ingenti. Solo gli screening costano 25 dollari l’uno, il vaccino è invece commercializzato (almeno in Europa) al prezzo di quasi 200 euro a dose. Chiaramente si tratta di costi proibitivi per gli stati africani e nemmeno il Ruanda avrebbe potuto permettersi di coprirli senza l’aiuto dei soliti enti filantropici. Le aziende produttrici non hanno alcuna intenzione di rinunciare ai brevetti e ai guadagni nemmeno verso i paesi del sud del mondo. La campagna vaccinale è stata cofinanziata da GAVI, l’alleanza per i vaccini guidata dalla Fondazione Gates, mentre gli screening sono stati cofinanziati dalla fondazione della famiglia Clinton (ex presidente USA) e dalla Banca Mondiale. Senza una politica che riduca fortemente i prezzi delle cure l’esempio ruandese rischia quindi di rimanere isolato e dipendente dall’aiuto, mai disinteressato [4], degli enti filantropici.

[di Francesca Naima]