- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

La Grecia dopo 12 anni si libera della Troika, rimangono le macerie

La Grecia è uscita ufficialmente dal regime di sorveglianza economica rafforzata disposto dall’Unione europea. Per anni, il sistema ha monitorato le diverse riforme a cui si è dovuta sottoporre Atene in seguito al “piano di salvataggio dal default” delineato da Bruxelles. Si è concluso così un ciclo di austerity sotto il controllo della Troika, che ha portato la Grecia a rispettare «duri impegni», come sottolineato dal primo ministro Kyiriakos Mitsotakis: tasse alte, tagli a salari e pensioni, all’istruzione pubblica e alla sanità. «Il Paese ora può guardare verso un nuovo orizzonte pulito, di sviluppo, unità e prosperità per tutti», ha aggiunto poi Mitsotakis, sottolineando implicitamente l’esistenza di un prima e dopo l’intervento di Bruxelles, che ha causato «ferite» che inevitabilmente faranno fatica a rimarginarsi, complice anche il comportamento discriminatorio e poco solidale dell’Unione e dei Paesi membri, lontani dagli ideali di manifesto.

Alla vigilia di ferragosto, la Commissione europea ha riconosciuto il rispetto, da parte di Atene, «della maggior parte degli impegni politici presenti nell’agenda di riforme efficaci» voluta da Bruxelles in cambio dei 241,6 miliardi di euro versati nelle casse greche per evitare il default, ovvero la condizione in cui il governo di un Paese non è in grado di pagare i debiti contratti. «La resilienza dell’economia greca è notevolmente migliorata e i rischi di ricadute sull’Eurozona sono notevolmente diminuiti», hanno dichiarato i commissari responsabili per l’Economia Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, confermando la fine del regime di sorveglianza economica rafforzata e il passaggio, prima, al ciclo di sorveglianza post-programma (SPP) e, dopo, al regolare semestre europeo per il monitoraggio della situazione economica, fiscale e finanziaria. Si tratta di un passaggio che segna la fine della crisi del debito greco e di un ciclo caratterizzato da pesanti tagli, soprattutto al welfare e quindi allo stato sociale. Una parentesi, quella della riduzione della spesa corrente (beni e servizi, redditi, prestazioni sociali), che tuttavia non è affatto chiusa all’interno dell’Unione europea, come dimostra l’indirizzo politico intrapreso da Bruxelles. Si pensi alla raccomandazione [1] rivolta all’Italia e relativa all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza [2] (PNRR), che a maggio ha ricordato a Roma di “limitare la crescita della spesa corrente in vista di una politica di bilancio prudente”.

Kyiriakos Mitsotakis, attuale primo ministro greco

Prima di concentrarsi sul futuro – «pulito, di sviluppo, unità e prosperità per tutti» – il primo ministro greco Kyiriakos Mitsotakis ha ricordato il passato e il dolore che vi ha albergato, «frutto di una serie di obblighi relativi a tasse insopportabili e tagli agli stipendi e ai servizi pubblici». Alla stagnazione dell’economia si è aggiunta così anche un’evidente divisione della società, critica nei confronti dei provvedimenti imposti da Bruxelles (come dimostra l’esito del referendum del 2015, quando il 61% dei votanti si schierò contro le riforme chieste dai suoi creditori). I diversi fattori hanno portato all’emersione di innumerevoli ferite nella società greca, tra cui l’aumento della violenza, la debolezza istituzionale e la crescita del partito neonazista Alba Dorata [3], i cui esponenti sono stati condannati definitivamente nel 2020, anno della dissoluzione del movimento.

I 12 anni di austerity

È il momento di fare un passo indietro e ripercorrere i 12 di austerity vissuti dalle istituzioni e dal popolo greco. Il 2 maggio 2010, il primo ministro George Papandreou annuncia l’accettazione, da parte della Grecia, di un prestito di 110 miliardi di euro (in tre anni) per evitare il default, conseguenza diretta della crisi economica globale che ha colpito gli Stati Uniti tre anni prima e che ad Atene ha accentuato l’instabilità economica, aumentando il debito pubblico e il rendimento (quindi “l’interesse”) dei bond decennali greci, da 4,57 a 7,83%, degradati a livello junk, “spazzatura”. In cambio dei fondi, il governo si impegna ad attuare riforme di austerity sotto il controllo della Troika, un istituto che in seguito alla grande recessione (il periodo successivo alla crisi finanziaria del 2007-2008) si è occupato di formulare dei piani di intervento rivolti a Paesi in crisi e, dunque, alle prese con un debito pubblico elevato. Il do ut des era semplice: prestiti in cambio di politiche di austerità, quindi limitazione dei consumi privati e delle spese pubbliche. Così, rigettando l’ipotesi del default sul debito, la Grecia accetta l’intervento delle istituzioni finanziarie internazionali, con tutto ciò che consegue: tagli per 30 miliardi di euro rivolti soprattutto ai lavoratori nel settore pubblico, aumento dell’IVA e delle imposte, con l’introduzione di nuove tasse. Seguono negli anni nuovi accordi uniti dalla stessa logica: fondi in cambio di riforme. Questa volta tocca alla privatizzazione e alla ristrutturazione del sistema fiscale, in modo da “migliorare la competitività e attrarre investimenti esteri”.

[4]
Alexīs Tsipras

Il tutto è accompagnato da proteste e malcontento popolare, che confluiscono nel referendum consultivo del 2015. Al governo c’è Alexīs Tsipras che, su pressione [5]  [5]di Bruxelles, è costretto a non rispettare la volontà espressa dai cittadini a luglio e a raggiungere un accordo con i leader dell’Eurozona per un terzo pacchetto di prestiti da 86 miliardi di euro, nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità (MES), strumento al centro del dibattito comunitario durante i primi mesi di pandemia. Alla scadenza della misura, la Commissione pone la Grecia sotto sorveglianza rafforzata, fino appunto a sabato scorso, quando il primo ministro Kyiriakos Mitsotakis ha annunciato l’uscita da un tunnel dai costi politici e sociali enormi, che ha comportato «l’emarginazione della posizione della Grecia in Europa e nel mondo». Dal 2000 a oggi, la partecipazione alle elezioni parlamentari è crollata dal 75 al 58%. La fiducia nelle istituzioni pubbliche è bassissima: solo un cittadino su quattro si fida del governo e lo stesso vale per il Parlamento. Le manovre economiche hanno fortemente ridimensionato i sistemi di protezione sociale e i servizi pubblici, con il reddito mediano equivalente annuo, che tra il 2010 e il 2019 si è ridotto del 30%: da 11.963 a 8.195 euro.

[di Salvatore Toscano]