- L'INDIPENDENTE - https://www.lindipendente.online -

Kosovo: notte di altissima tensione, barricate alle frontiere e soldati nelle strade

Nella notte l’eventualità dello scoppio di una nuova guerra in Europa è stato molto vicino, al punto che sono suonate le sirene antiaeree, sono state chiuse le frontiere, colonne di soldati hanno marciato nelle strade e barricate innalzate dal popolo in armi sono sorte in strada. Tutto questo è avvenuto a trecento chilometri dalle coste italiana: in Kosovo, ex provincia della Serbia, autoproclamatasi indipendente nel 2008, ripiombata nel caos dopo la decisione del governo locale di attuare una serie di misure amministrative che i serbi che abitano il territorio giudicano discriminatorie, come il divieto di entrare nel Paese utilizzando i documenti di Belgrado e l’obbligo di reimmatricolare le auto con targa serba. La situazione, apparsa per ore sul punto di non ritorno, è tornata “calma” nella notte, dopo la decisione del governo kosovaro di rinviare l’entrata in vigore delle misure “anti-serbe” di un mese, giunta a seguito delle pressioni della NATO e dell’ambasciata americana. L’ex provincia serba, infatti, è ancora oggi qualcosa di più simile a un protettorato americano nel cuore d’Europa, piuttosto che a uno stato indipendente, e al suo interno è ancora operativa una missione permanente della NATO, denominata Kosovo Force (KFOR).

Le tensioni si erano acuite nel pomeriggio di ieri, 31 luglio, dopo che il governo di Pristina (capitale del Kosovo) guidato dal primo ministro Albin Kurti, aveva confermato l’entrata in vigore delle cosiddette “misure di reciprocità”, che intendevano porre il divieto ai quasi centomila serbi che ancora abitano il Kosovo di continuare ad usare i documenti e le targhe di Belgrado all’interno dell’autoproclamata repubblica. Una decisione inaccettabile per i serbi, che non riconoscono l’indipendenza di Pristina. Di qui la tensione è continuata a salire per tutta la giornata. Il premier serbo, Aleksandar Vucic, ha accusato il governo kosovaro di voler espellere i serbi dal paese, Pristina ha invece accusato le forze armate serbe di aver superato il confine e di aver invaso il Kosovo. L’escalation è stata rapida. Le forze kosovare hanno chiuso i valici di confine tra Kosovo e Serbia. Gli abitanti serbi del nord del Kosovo (zone dove essi rappresentano ancora la maggioranza demografica) hanno eretto barricate. La situazione si è fatta rapidamente esplosiva nella città di Mitrovica, “la Berlino dei Balcani”, dove i serbi abitano i quartieri a nord del fiume Ibar e gli albanesi-kosovari quelli a sud. Alle 17:40 a Mitrovica Nord sono risuonate le sirene di allerta per la popolazione serba, che è scesa in strada innalzando barricate. Alle fortificazioni di fortuna dei serbi hanno fatto eco quelle degli albanesi, mentre l’esercito kosovaro ha fatto irruzione nella zona nord. Diverse raffiche di spari sono state udite a Mitrovica e in altre zone del nord-Kosovo, ufficialmente senza feriti. Alle 23:17 la missione NATO in Kosovo ha emesso un comunicato [1] sul proprio profilo Twitter, dichiarando di essere “pronta a intervenire se la stabilità è minacciata, in conformità con il suo mandato derivante dalla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”. A mezzanotte l’ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Kosovo, Jeffrey Hovenier, ha annunciato di aver terminato il suo incontro con il presidente del Kosovo Vjosa Osmanii e il primo ministro Albin Kurti, rivelando di aver «chiesto ai vertici del Kosovo di rinviare di 30 giorni l’attuazione delle decisioni sulla reimmatricolazione dei veicoli con targa serba a quelli del Kosovo e sull’annullamento delle carte d’identità rilasciate dalla Repubblica di Serbia». Un’ora dopo il primo ministro Albin Kurti ha annunciato [2] di aver accettato la richiesta americana. La questione, è dunque, solo rimandata.

Il Kosovo è storicamente una provincia della Serbia abitata però da una forte maggioranza di etnia albanese. Durante le guerre che infiammarono la ex-Jugoslavia, negli anni ’90, gli albanesi-kosovari reclamarono la propria indipendenza da Belgrado. Una richiesta che venne appoggiata dal presidente americano Bill Clinton e dagli alleati europei. Nel marzo del 1999 la NATO intervenne bombardando la Serbia e costringendola a ritirarsi dal Kosovo. La provincia divenne di fatto indipendente, una condizione messa nero su bianco nel 2008 con la dichiarazione di indipendenza. Il Kosovo tuttavia, ancora oggi, non è riconosciuto indipendente da molti stati. Non solo da Russia, Cina ed altre potenze mondiali, ma anche da cinque stati europei: Spagna, Cipro, Grecia, Slovacchia e Romania, ancora oggi riconoscono il territorio come una provincia della Serbia. La Serbia ovviamente non ne ha mai riconosciuto l’indipendenza, anche perché considera questo territorio la propria patria spirituale – una sorta di Gerusalemme della chiesa ortodossa serba, dove hanno sede le principali istituzioni della propria religione. Il Kosovo prima del 1999 era abitato da circa 300.000 serbi, oggi ne rimangono probabilmente meno di 100.000, al netto di coloro che sono scappati e che ancora continuano ad emigrare spinti dalle discriminazioni. Ultimo dato importante: la Serbia è storicamente l’alleato “di ferro” della Russia in Europa, ed anche in questa fase ha rifiutato di aderire alle sanzioni contro Mosca ed è ad oggi l’unico Paese europeo che mantiene voli diretti con la Russia. Recentemente il Paese ha anche ricevuto – e mostrato in parata [3] – una dotazione di missili dalla Cina. Il Kosovo è invece, in buona sostanza, un protettorato statunitense in Europa, che ospita la più grande base militare americana nei Balcani (con oltre 7.000 soldati). Nel Paese è presente anche un contingente italiano, carabinieri e militari, che ancora oggi conta 638 effettivi. Secondo diversi analisti l’offensiva sui documenti da parte di Pristina arriva proprio in questo momento scommettendo sul fatto che da Mosca non saranno in grado di fare alcunché per aiutare l’alleato serbo.

[di Andrea Legni]