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Nella Repubblica Democratica del Congo si sono stancati delle Nazioni Unite

Nella regione del Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo (RDC), le proteste contro la missione di pace delle Nazioni Unite (ONU) hanno causato almeno 15 morti, 3 caschi blu e 12 civili. Le proteste, iniziate lunedì nella città di Goma, si sono poi diffuse il giorno seguente anche a Butembo, dove un soldato e due poliziotti delle Nazioni Unite sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. A riferirlo è il portavoce dell’ONU Farhan Haq durante un incontro con la stampa a New York. In entrambe le città i caschi blu sono stati accusati di violente rappresaglie ai danni dei manifestanti che, lanciando pietre e molotov, tentavano l’assalto agli edifici delle Nazioni Unite. Un giornalista della Reuters [1] ha visto le forze di pace sparare a due dimostranti a Goma. Patrick Muyaya, portavoce del governo della RDC, ha affermato che nel capoluogo sarebbero state uccise almeno cinque persone, oltre a 50 feriti. Mentre a Butembo, il bilancio sarebbe di 7 morti, in base alle dichiarazioni rilasciate dal capo della polizia locale Paul Ngoma.

La rabbia dei manifestanti era incentrata contro l’operato delle Nazioni Unite e in particolare contro la missione di pace MONUSCO, presente nel paese da oltre 10 anni. I manifestanti chiedevano, infatti, il ritiro dei caschi blu dalla regione, dato che in tutti questi anni non sono stati in grado di contrastare l’ascesa dei numerosi gruppi armati attivi nella zona. MONUSCO è una delle più grandi e costose (1 miliardo di dollari di budget annuale) missioni di peace-keeping dell’ONU attive in giro per il mondo, con circa 14.000 caschi blu impegnati nella RDC. Le violenze dei gruppi armati nelle regioni orientali del paese hanno causato lo sfollamento di circa 6,2 milioni di persone [2], di cui 700.000 nel solo 2022.

La proteste, che si sono poi allargate grazie al numeroso supporto della popolazione, erano state organizzate dall’ala giovanile dell’UDPS, il partito del presidente Felix Tshisekedi attualmente al governo del paese. Lo stesso Tshisekedi aveva chiesto in passato il ritiro immediato delle forze di pace delle Nazioni Unite a causa della loro inefficacia, che genera rabbia popolare. Nelle regioni orientali della RDC sono, infatti, presenti numerosi gruppi armati come l’M23, oltre a gruppi jihadisti [3] legati allo Stato Islamico. Le attività di tali gruppi armati hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione locale sia in termini di vittime sia per quanto riguarda gli sfollamenti: basti pensare che dal 2017 nella zona ci sono state 15.768 vittime [4] e quasi 8.000 rapimenti. Le lotte tra gruppi armati non sono  esclusivamente dettate da motivazioni politiche; vi si affianca, infatti, l’elemento economico, dal momento in cui il Congo è un paese ricchissimo di risorse naturali [5].

Non è la prima volta che nella RDC la popolazione scende in strada per protestare contro l’operato delle Nazioni Unite. Negli anni, sono state diverse le accuse di abusi verso i caschi blu, come nel 2016, quando vennero indagati per violenze sessuali alcuni soldati della Tanzania che prestavano servizio presso la missione MONUSCO [6]. Simili accuse erano state mosse anche verso alcuni membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità'(OMS). Nel settembre del 2020 vennero infatti denunciati presunti abusi sessuali [7] commessi dal 2018 al 2020 durante la missione per il contenimento del virus Ebola nelle province del Nord Kivu e dell’Ituri. Non dovrebbe quindi stupire se, la popolazione locale, ha iniziato a considerare parte del problema anche le organizzazioni internazionali, che i problemi dovrebbero aiutare a risolverli.

[di Enrico Phelipon]