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La caduta del governo non ferma la direttiva Bolkestein

Il disegno di legge Concorrenza [1] è stato approvato dalla Camera dei Deputati con 345 voti favorevoli e 41 contrari, questi ultimi provenienti dai banchi di Fratelli d’Italia e Alternativa. Il provvedimento, da cui è stato eliminato l’articolo sulla riforma [2] dei taxi, torna in terza lettura al Senato della Repubblica, rientrando tra gli “affari correnti” del governo dimissionario e avviandosi così verso la conclusione dell’iter legislativo. Il disegno di legge Concorrenza recepisce la direttiva Bolkestein [3], approvata dalla Commissione europea nel 2006 e vincolante per i Paesi membri, che ruota intorno alla liberalizzazione del mercato. Il governo ha così avanzato una proposta per riassegnare le concessioni demaniali marittime (spiagge, lagune, foci dei fiumi e così via) attraverso bandi pubblici. Tuttavia, il rischio che la norma produca danni alle piccole-medie imprese e benefici a vantaggio delle multinazionali è alto, vista la lotta impari in termini economici.

La direttiva è un atto vincolante a cui le istituzioni comunitarie possono ricorrere per tracciare gli obiettivi e gli scopi che i Paesi membri devono raggiungere. L’ordinamento interno si adatta a quello europeo attraverso una norma (in questo caso il ddl Concorrenza) che completa la disposizione iniziale e traccia gli strumenti che verranno utilizzati per raggiungere gli obiettivi comunitari presenti nella direttiva. Esprimendosi a favore del disegno di legge, il Parlamento si è affidato alla delega legislativa, limitandosi, dunque, a tracciare i criteri e i principi direttivi a cui l’esecutivo dovrà attenersi nella formulazione del decreto legislativo, contenente i dettagli relativi alle “concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali”. Nello specifico, “il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, […] uno o più decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive, ivi incluse quelle affidate ad associazioni e società senza fini di lucro, con esclusione delle concessioni relative ad aree, strutture e infrastrutture dedicate alla cantieristica navale, all’acquacoltura e alla mitilicoltura”.

Se da un lato, l’applicazione della direttiva europea potrebbe portare a un allineamento tra canoni attuali riscossi dallo Stato e valori degli stabilimenti balneari e a un “equilibrio [4] tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate”, dall’altro si rischierebbe una massiccia privatizzazione a favore di grandi imprenditori, fondi finanziari o multinazionali contro i quali gli attuali gestori (circa 30.000), spesso famiglie che hanno investito i propri risparmi per avviare e condurre le attività, avrebbero ben poche possibilità di concorrere nelle gare di appalto. «Abbiamo cercato di difendere un’eccellenza italiana, un mestiere antico inventato qui a fine ‘800 su cui sarebbe giusto intervenisse l’Unesco dichiarandolo patrimonio immateriale dell’umanità e, anziché attivare legittimi propositi di riforma per ottimizzarlo e qualificarlo, si rischia di cedere ad aziende straniere», ha dichiarato il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli (FdI) in merito alla votazione dell’Aula, che ha aperto una nuova spaccatura nel centrodestra a due mesi dalle prossime elezioni. Il partito guidato da Giorgia Meloni ha prontamente rivendicato di  essere stata l’unica forza di centrodestra a tutelare i concessionari, votando contro gli articoli sulla messa a gara delle spiagge e sugli indennizzi a chi non otterrà il rinnovo, previsti dall’articolo 4 [5] del disegno di legge. Lega e Forza Italia hanno, invece, fatto leva sul vago, discrezionale e ambiguo concetto di “responsabilità”, ribadendo (come più volte fatto da Bruxelles) la centralità della norma nel rispetto degli impegni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR [6]) e nell’accesso ai fondi comunitari.

[di Salvatore Toscano]